A che cosa serve l'Agenda digitale
Il geniale Albert Einstein sosteneva una cosa banale: non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare sempre le stesse cose. Se applichiamo questa massima al nostro paese, in cui il dibattito sui problemi nazionali ruota da molti anni intorno agli stessi temi – burocrazia, trasparenza, corruzione, evasione, crescita – l'Agenda digitale è l'occasione di fare cose diverse per provare a risolvere i nostri problemi strutturali.
L'Agenda digitale è entrata per la prima volta nel pieno del dibattito politico a novembre 2011, con l'insediamento del governo Monti. Da allora, tutti i governi che si sono succeduti si sono mossi sostanzialmente in continuità, sviluppando una serie articolata di iniziative che il governo Renzi ha ulteriormente sviluppato consolidandoli in due filoni: le infrastrutture materiali e quelle software.
Le infrastrutture materiali sono un vecchio problema italiano. Nel 2016 l'Italia è al 54° posto nel mondo per velocità media della connessione e al 75° per velocità massima, quart'ultima in Europa in entrambe le graduatorie (Akamai, State of the Internet, 2016) ma penultima nell'UE per l'indice sintetico di valutazione della connettività della Commissione Europea (Desi Connectivity Index, 2016). Per risolvere il problema il governo Renzi ha varato il primo piano nazionale per la banda ultralarga, con un obiettivo ambizioso (entro il 2020 una copertura ad almeno 30 Mbps per il 100% degli italiani e ad almeno 100 Mbps per l'85%). L'intervento è stato diviso in due parti: le aree bianche, in cui nessun operatore ha investito né pianifica di investire in fibra, e le restanti aree, in cui ci sono stati o ci saranno investimenti, ma non tali da portare la fibra ottica fino a casa dei clienti.
Più di due miliardi per le aree bianche
Per le aree bianche, circa 7.300 comuni, quasi 20 milioni di cittadini, il governo ha stanziato 2,2 miliardi a cui si devono sommare i fondi coordinati centralmente delle singole regioni. I primi bandi, per Abruzzo, Molise, Emilia Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto, si sono appena chiusi il 26 luglio. Una volta avviate le aree bianche, dovrebbe partire il piano d'intervento per le aree rimanenti. L'intero piano, per non perdere i fondi europei, dovrebbe essere completato entro il 2022.
Le infrastrutture software presentano invece un panorama più articolato. La fatturazione elettronica è quella più avanzata. Nata per diminuire i costi operativi delle aziende nei rapporti con la P.a., ma anche per migliorarne le condizioni di pagamento e ridurre le possibilità di evasione, è entrata in vigore appieno con uno switch-off obbligatorio dal 31 marzo 2015. Finora ha gestito più di 35 milioni di fatture, con oltre 23.000 amministrazioni coinvolte, 56.000 uffici e più di 600.000 fornitori. Presto ne sarà resa disponibile una versione per digitalizzare su base volontaria le fatture tra privati. Al secondo posto per stadio di avanzamento vi è il sistema dei pagamenti elettronici (PagoPa), nato per permettere ai cittadini di pagare digitalmente con tutte le modalità più diffuse in condizioni di sicurezza, economicità e flessibilità ma anche per garantire alle P.a. semplificazione, riduzione dei costi e standardizzazione dei processi. Vi hanno finora aderito più di 14.000 amministrazioni di cui oltre 2.000 già attive (tre le quali Miur, Mise, Ministero della Giustizia, Inail, Aci, Inps e diverse regioni) con 80 diversi servizi di pagamento che hanno realizzato più di 500.000 transazioni.
Ancora numeri piccoli rispetto alle dimensioni della P.a., ma già un grande cambiamento se si pensa che, ad esempio, entro la fine del 2016 sarà utilizzabile per pagare ogni tassa scolastica, viaggio di istruzione, mensa e altro ancora di tutte le scuole italiane. In terza posizione, infine, vi è il sistema pubblico di identità digitale (Spi), nato con l'obiettivo di creare un unico sistema di identificazione online utilizzabile da uno smartphone sia per la P.a. sia per i privati che volessero usufruirne. È partito a marzo di quest'anno ma conta già 292 amministrazioni attive, 3 identity provider accreditati, 648 servizi disponibili con circa 86.000 identità erogate.
A questo elenco, per avere un quadro più completo dello stato dell'Agenda digitale italiana, mancherebbero l'anagrafe digitale centralizzata (Anpr) e il fascicolo sanitario elettronico, partiti entrambi a dicembre 2015 ma anche le 76 amministrazioni che già pubblicano i propri dati in open data, la coalizione per le competenze digitali, le linee guida per i siti web della P.a. e Italia Login. Ma sarebbe solo un elenco provvisorio. Con la nomina del bocconiano Diego Piacentini, da agosto entrato nel ruolo di commissario per il digitale e "plenipotenziario per riportare l'Italia in cima alle classifiche di competitività" nel digitale, l'Agenda digitale dovrebbe accelerare la sua implementazione. Se fosse un progetto tecnologico, sarebbe già una grande sfida. Invece, è anche la base di appoggio su cui costruire il futuro di uno Stato più leggero, trasparente ed efficiente. È una sfida titanica, da non sottovalutare, una di quelle sfide che aiutano a capire la vera e profonda natura del paese.