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C'e' un'Italia al top, ma dobbiamo fare dell'eccezione la regola

, di Diego Piacentini - laureato nel 1985 in Bocconi, senior vice president international retail di Amazon
Capitale umano, capacità imprenditoriale, eccellenze. C'è da lavorare però sull'attrattività degli investimenti stranieri e sulla nostra legislazione

Via Sarfatti 25 ha chiesto a sette bocconiani cosa c'è di buono e cosa di meno buono nell'Italia che produce. Ecco il punto di vista di Diego Piacentini

Diego Piacentini

Positivo: le competenze del capitale umano italiano
Vista dall'estero, l'Italia non è brutta come si dipinge. I nostri migliori laureati non hanno nulla da invidiare ai migliori laureati del resto d'Europa, anche nelle materie di tipo quantitativo, in cui si ritiene comunemente di dover colmare un gap. Devo però ammettere che il mio osservatorio è un po' distorto, dal momento che possiamo permetterci un processo di selezione rigorosissimo e finiamo per entrare in contatto solo con le élite.

Negativo: l'attrattività degli investimenti stranieri
Non siamo particolarmente attrattivi perché un'impresa investe in un paese estero se c'è una forte domanda da soddisfare o perché può ottenere risparmi significativi, utilizzando la forza lavoro locale, o perché vi trovano competenze o infrastrutture particolari. In Italia, in questo momento, questi fattori si verificano raramente.

Positivo: l'appartenenza all'Unione europea
Le imprese straniere entrano nel mercato italiano, e lo abbiamo fatto anche noi, perché è un grande paese moderno con 60 milioni di abitanti e prospettive di crescita in molti settori, tra cui il commercio elettronico, e perché appartiene all'Unione europea. La libertà di movimento tra i diversi stati membri e la possibilità di sfruttare, almeno in parte,l e infrastrutture aziendali realizzate negli altri paesi si rivelano fattori fondamentali.

Negativo: la complessità del sistema legislativo e fiscale
È davvero troppo penalizzante, tanto che gli imprenditori fanno fatica a conviverci. Tutti i ragionamenti internazionali che sento sugli investimenti in paesi come l'Italia o la Spagna ruotano intorno al costo complessivo di operare nel paese: non conta solo il salario orario, ma gli oneri sociali, la burocrazia, la flessibilità. E questi fattori, in questo momento, sono messi in colonna dai venture capitalist nella voce "environment risk".

Positivo: la capacità imprenditoriale degli italiani
Non è un luogo comune che gli imprenditori italiani, per operare in un ambiente come quello descritto, debbano essere dieci volte più bravi degli omologhi americani. E poi il paese è pieno di business favolosi. Me ne sono reso conto di recente, a un incontro della business community di Seattle con il nuovo ambasciatore italiano negli Stati Uniti: ho scoperto delle imprese fantastiche, che magari sono presenti in quest'area da 35 anni perché sono fornitori di alta tecnologia della Boeing. Certo, questi casi sono decine e il vero problema è farli diventare centinaia, o migliaia.

Negativo: il sistema delle infrastrutture pubbliche e private
Da questo punto di vista l'Italia non è al top, ma non ritengo si debba drammatizzare. In quanto a dotazione tecnologica, per esempio, l'Italia se la gioca con gli altri grandi paesi europei.

Positivo: Pubblica amministrazione e burocrazia
Anche in questo caso, come in quello delle competenze, sono in grado di parlare solo delle eccellenze. Ad ogni modo, quando abbiamo deciso di insediarci con un centro di distribuzione sul territorio abbiamo trovato collaborazione ed efficienza – abbiamo mandato in soffitta tutti i miti che ci eravamo fatti sull'amministrazione italiana. Mi rendo conto che non è la stessa cosa in tutta Italia, ma il fatto che queste eccellenze esistano mi pare un bel segnale.