C'e' anche l'Italia nella nuova alba economica di Teheran
«Non abbiamo fatto la rivoluzione per il prezzo dei meloni», rispondeva l'ayatollah Khomeini a chi gli contestava il fatto che, malgrado le grandi promesse rivoluzionarie, il paese sperimentasse le stesse, se non peggiori, difficoltà economiche dell'epoca dello shah.
A quasi quarant'anni di distanza dalla rivoluzione, il prezzo dei meloni – e, in generale, la situazione economica del paese – torna protagonista per spiegare uno dei maggiori avvenimenti che hanno segnato l'anno che si è appena concluso: la firma dell'accordo tra Teheran e paesi del gruppo P5+1. Nelle pessime condizioni dell'economia del paese è infatti possibile rintracciare la migliore spiegazione della decisione di scendere a compromessi con la comunità internazionale per quanto riguarda il programma di sviluppo nucleare.
Se, dunque, la molla economica ha rappresentato lo stimolo principale al negoziato, appare spontaneo domandarsi che cosa può succedere ora. Un grande attivismo tra le diplomazie europee si è registrato fin dall'indomani della firma dell'accordo, con Italia, Germania e Francia impegnate in una rinnovata danza di corteggiamento nei confronti di Teheran, libera dai lacci delle sanzioni. Se la Germania è al momento il primo partner economico e commerciale di Teheran all'interno dell'Ue, il nostro paese, stabile al secondo posto, potrebbe riuscire nei prossimi anni a riconquistare quelle quote di mercato perse negli ultimi anni a seguito dell'imposizione delle sanzioni. In questo senso, la recente crisi che ha coinvolto Iran e Arabia Saudita, e che ha portato alla rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi, non pare rappresentare un ostacolo per le imprese europee desiderose di tornare a fare affari con Teheran.
➜ energia, auto e costruzioni
Quello iraniano è un mercato da 79 milioni di abitanti, che vanta una forte componente di popolazione giovane e istruita: il 60% della popolazione ha meno di 30 anni, il tasso di scolarizzazione raggiunge il 99%. Inoltre, pur piegata da elementi sia congiunturali che strutturali, l'economia iraniana rimane pur sempre la seconda economia dell'area Mena, preceduta soltanto dall'Arabia Saudita.
Ecco allora che con il sollevamento delle sanzioni, a partire dal gennaio 2016, si può aprire una vera e propria corsa all'oro, soprattutto in alcuni settori. Il settore dell'energia in primis: per tornare ai livelli di produzione pre-sanzioni (4,5 milioni di barili al giorno) occorrono investimenti per l'ammodernamento di impianti che versano in un grave stato di obsolescenza. Altri settori in forte espansione sono quelli delle costruzioni e automobilistico. In quest'ultimo, in particolare, vi è una forte richiesta di collaborazioni industriali con brand italiani.
Ma esistono anche alcuni rischi: primo fra tutti, quello della re-imposizione delle sanzioni qualora Teheran non rispetti l'accordo siglato nel luglio scorso a Vienna. Se per il momento la guida suprema Khamenei sembra riuscire a tenere a bada i falchi che si oppongono al rapprochement, nessuno può dire cosa succederà in futuro. In secondo luogo, è bene ricordare la peculiare conformazione assunta dall'economia iraniana all'indomani della rivoluzione, poi cristallizzatasi negli anni: quella di un'economia a forte partecipazione statale, basata sul connubio tra industria e apparati militari.
Ottimismo sì, dunque, ma con cautela. È possibile guardare all'Iran in questo momento come a una grande scommessa: occorre ardore per partecipare al gioco e non cedere terreno ai nostri competitor, ma occorre anche freddezza e capacità di analizzare con cura opportunità e rischi per non lasciarsi travolgere da questa novella corsa all'oro.