Carroll, pittore di spazio
Opere che dialogano con le pareti e che interagiscono tra loro, come fossero tutte parte di un disegno più grande. Sono pitture a volte enormi e che giocano a mostrare e a nascondere il proprio interno, che spesso racchiude una sorpresa. Si affidano alla monocromia del minimalismo contemporaneo, quasi al non colore, per trasmettere un senso di serenità, di pace, di quiete. La mano che le ha create è quella di Lawrence Carroll, uno dei maggiori pittori della nostra epoca, il quale, lasciati per un momento i pennelli e le sale del Museo Correr di Venezia, dove fino al 4 maggio si tiene una mostra sui suoi lavori, si è confrontato con gli studenti Bocconi durante un incontro organizzato da Stefano Baia Curioni, direttore del Centro Ask.
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Lawrence Carroll, Untitled , 1991 |
Sullo schermo alle spalle del pittore scorrono così alcune foto dell'allestimento di Venezia ed emerge tutta la forza dell'opera di Carroll: forme che vivono grazie ai giochi di luci e ombre, tele che acquistano significato grazie al dialogo con lo spazio circostante. Insieme alle opere dell'artista scorrono anche le immagini dei pittori che tanto hanno influito sulla formazione artistica di Carroll. E grazie alle parole di Laura Mattioli, la curatrice della mostra al Correr, presente insieme all'artista, scopriamo i legami tra la pittura dell'americano (di origine australiana) Carroll, classe 1954, e l'italianissimo Giorgio Morandi, famoso per le sue tele che ritraggono oggetti di tutti i giorni. E rintracciamo Marc Rothko, Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Jackson Pollock, i minimalisti, e quel clima particolarmente attivo e vitale della New York degli anni Ottanta.
È qui, infatti, che Carroll si stabilisce nel 1985, lasciando "il piccolo sobborgo di Los Angeles dove abitavo fin da ragazzino, ma che mancava di musei e qualsiasi stimolo culturale", racconta il pittore. Arrivato nella Grande Mela, si dedica alla pittura a tempo pieno, ma non smette mai di viaggiare per il paese in lungo e in largo: "Ho continuato per anni a fare avanti e indietro per gli Stati Uniti, a viaggiare nel mondo (ho vissuto anche a Venezia) e a parlare con le persone. È il continuo interagire con ciò che mi sta intorno che mi dà lo stimolo per il mio lavoro". Sono i paesaggi spesso deserti che ha incrociato sulla sua "personale strada", come la definisce, che lo ispirano, ma al momento di trasferire su tela o nelle sue installazioni ciò che ha visto e provato, preferisce chiudere il mondo fuori dal suo studio. "Adoro la luce", racconta Carroll, "ma quando lavoro chiudo tutte le finestre. Il mondo, dal quale pure traggo ispirazione, deve restare fuori ed emergere poi come ricordo all'interno dell'opera".
Dalla pittura di Carroll, che fa parte delle collezioni permanenti di musei del calibro del Guggenheim di New York e del Museum of Contemporary Art di Los Angeles, traspare inoltre un grande senso di tranquillità. "Molte volte l'arte è denuncia della situazione terribile del mondo", continua Laura Mattioli. "L'idea di Carroll, invece, è di costruire la pace non denunciando la guerra, ma rappresentando la serenità e l'equilibrio". Le sue tele, tuttavia, non si mostrano mai completamente, ma nascondono "aspetti complessi, sottili, molteplici possibilità che si dischiudono solo se si ha il tempo di coglierle". Opere da non guardare distrattamente, dunque, ma che vanno scoperte anche all'interno, che vanno quasi toccate. Come il mazzo di fiori celato da quella che a prima vista sembra una semplice scatola appesa alla parete, o come gli enormi teloni da camion, i quali, dipinti su entrambe le facce, ma piegati e posati a terra come lenzuola, non mostrano dei propri colori che qualche decimetro quadrato.