Caro Babbo Natale vorrei...
Caro Babbo Natale, sono anni che non ti scrivo. Ti sembrerà strano risentirmi dopo tutto questo tempo, però ho aspettato così tanto per farti una richiesta seria. Come sai, da un po' mi occupo di coniugare le arti con l'economia: tento cioè di comprendere come la cultura possa essere immaginata non un costo bensì un investimento e, capito ciò, tento di persuadere gli studenti e l'opinione pubblica che spendere in cultura sia davvero conveniente.
Purtroppo i tempi sono grami e le risorse economiche sono proprio poche. Quello scarso importo da investire in cultura si è ulteriormente ristretto, dopo lo tsunami della crisi globale degli ultimi anni. "Non ci sono i mezzi", ha detto il ministro dell'economia, quello a cui anche tu hai chiesto di aumentare il budget, ricevendo come risposta di non sostituire la slitta e di dare meno frumento alle renne. Altro che i mezzi, qui mancano gli interi!, diciamo noi, e se va avanti così alla fine del 2011 i teatri, gli auditorium, i cinematografi, le sale dei concerti, i musei, e così via, chiuderanno bottega e passeremo un Natale davvero poco allegro.
E allora, caro Babbo Natale, non ti chiedo per fine anno doni o dolciumi, ma solamente che alcune decisioni programmatiche si concretizzino. Fa' sì che i privati siano maggiormente coinvolti nei progetti culturali (magari in forme più avanzate rispetto alle mere sponsorizzazioni) continuando a mantenere le rare sperimentazioni di deducibilità fiscale che così buoni risultati hanno dato in qualche comparto. Fa' sì che si mappino i luoghi di offerta culturale e di spettacolo, anche quelli meno scontati e ai bordi periferici della città, e che questi rappresentino i nuovi crocevia di incontro delle nuove tribù creative, meglio se anche di cittadini multi-etnici. Fa' sì che la politica culturale dell'intero paese e dei singoli campanili venga condivisa tra governo e opposizione, convinti che i veri progetti abbiano una parabola di lungo termine e che, nell'orizzonte di lungo termine, l'unico atteggiamento veramente serio sia quello bi-partisan. Fa' sì che laddove c'è un saldo indirizzo di governo (top down) si accoppii anche una esperienza dal basso (bottom up) in cui i cittadini esprimano la cultura con ruoli veramente partecipanti. Fa' sì che le poche risorse che rimangono (un ministro noto per la sua rudezza linguistica sostiene che "non c'e' trippa per gatti") siano allocate ai progetti più meritevoli e che ciò sia guidato da una consapevolezza di rendicontabilità (accountability), per cui coloro che spendono denaro che non ha ricaduta sociale ed economica vengano chiaramente additati come corsari e che le loro "alte iniziative" vengano chiamate meno prosaicamente sprechi e conseguentemente cessati. Fa' sì che gli economisti che si occupano di cultura non continuino a essere scambiati per individui che desiderano le imprese for profit, per coloro che sostengono che il bilancio dei teatri si fa con i gadget e le tee shirts e per chi pensa che adeguarsi alla domanda voglia dire abbassare il tiro della qualità. Fa' sì che i "sacerdoti" della cultura (intellettuali, critici e mediatori dei linguaggi artistici, studiosi di "storia delle muse varie", ecc.) capiscano che accanto alle legittime e insindacabili esigenze di presidiare, tutelare, mantenere il patrimonio ci possa essere (non "ad excludendum") un sano orientamento al reddito, dove la cultura diventi un importante volano per accrescere indotti e occupazioni dell'economia italiana. Certo, caro Babbo di Lapponia, una playstation o un iPad o un nuovo smart phone per te sarebbe stata una richiesta più facile da approvvigionare e da far scendere nel camino. Lo so. Ma senza la cultura di oggi, chi progetterà la playstation e lo smart phone della prossima decade? Vorrai mica rimanere disoccupato, perché in assenza di regali innovativi?Tuo affezionatissimo,Severino Salvemini