Candido Cannavò, un campione del giornalismo a Radio Bocconi
Candido Cannavò posa insieme agli speaker di Sport Club |
Quasi 20 di direzione, una vita lavorativa trascorsa alla Gazzetta dello Sport, migliaia i campioni intervistati, 12 le Olimpiadi seguite in prima persona. Candido Cannavò, 78 anni, collabora tuttora con il "suo" giornale e scrive libri su temi che con lo sport hanno apparentemente poco a che fare: la disabilità, le carceri, i preti "di strada". Ma un filo conduttore c'è: "Il filo conduttore è l'uomo, l'umanità che c'è 'oltre' il campione", risponde Cannavò a Daria Buonfiglio, che con Riccardo Mucci e Nazario Peluso, i conduttori insieme con Chiara Galli di Sport Club, in onda su Radio Bocconi il martedì e il venerdì alle 13, lo ha intervistato nel suo studio di via Solferino. "Ho sempre cercato di trattare lo sport non dalla facciata, ma indagando le persone e la loro storia. E' un'umanità che ritrovo anche nelle carceri e soprattutto tra i disabili, che sono dei veri campioni della vita".
Quali sono gli avvenimenti e i campioni che l'hanno colpita di più nella sua carriera? "Due fatti, entrambi negativi, due vere tragedie. Il primo è l'Heysel, una partita giocata nonostante ci fossero stati 39 morti, un vero e proprio scandalo. L'altro, il giorno in cui Marco Pantani venne trovato positivo all'antidoping, il crollo di un mito e quindi di un uomo. I campioni che ho più amato? Sara Simeoni, Livio Berruti, Deborah Compagnoni, ma soprattutto Giacinto Facchetti. Se devo dire un nome, beh, Facchetti viene prima di tutti".
Parlando di Pantani, Cannavò tocca uno dei temi che più l'hanno segnato, perché riguardano un campione e uno sport che gli sono particolarmente cari: "Il doping è una vera tragedia; per il ciclismo, sport umanamente eccezionale, rappresenta una sorta di maledizione. Ma è tutto lo sport che corre verso una sorta di autodistruzione, con la ricerca sempre più esasperata della "prestazione", a scapito della fantasia e della tecnica. E' tutto più muscolare e sui muscoli purtroppo si può agire con le sostanze dopanti".
Lo sport, in Italia, il calcio in particolare, è sempre più televisivo, mentre gli stadi si svuotano. E' davvero 'colpa' della pay-tv?: "La vera ragione è che in Italia lo stadio non attira, ha un'immagine torva, cupa. Non c'è gioia sui volti di chi va allo stadio, semmai vi è tensione. E poi pensateci: è un Osservatorio del ministero degli interni a decidere, partita per partita, chi può andare allo stadio e chi no. Ma vi immaginate a raccontare all'estero una cosa del genere?".
L'intervista completa a Candido Cannavò è disponibile sul sito di Radio Bocconi.