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Bombay legal

, di Riccardo Vitolo - studente Bocconi
Lo stage di Riccardo Vitolo, ultimo anno della specialistica in giurisprudenza, in uno studio legale indiano si è concluso a settembre con un pranzo all’Hotel Taj Mahal. Il resoconto di un’esperienza emozionante

Della parte più antica dell'Hotel Taj Mahal di Bombay, le cui stanze da letto erano conservate così come costruite a fine dell'Ottocento, resta ben poco. Mentre la tv italiana mostrava le immagini degli scontri, non potevo evitare di pensare che proprio al Taj Mahal, lo scorso settembre, ho pranzato l'ultimo giorno del mio stage con la persona che mi ha professionalmente guidato nei miei quattro mesi a Bombay, l'avvocato Saurabh Misra.

Mi tornava alla mente il fatto che, durante il mio soggiorno, molte città erano state colpite da attacchi terroristici di matrice religiosa. Eravamo abituati all'esplosione di bombe, all'occasione il consolato ci avvertiva della situazione di emergenza in cui ci trovavamo e ci contattava consigliandoci di restare a casa. La polizia era mobilitata; ma per una città che nelle ore di punta arriva a contare anche 1.000.000 di persone per miglio quadro, il controllo è impossibile.

Ma mi tornava alla mente soprattutto quello che, in un pomeriggio piovoso, mi aveva sussurrato Saurabh nell'orecchio, con il suo inglese dalla pronuncia marcatamente indiana: "Remember Riccardo, problems are opportunity!".

I primi giorni a Bombay sono lunghissimi e forse sono quelli i momenti decisivi dell'intero soggiorno. Messo piede fuori dell'aeroporto Chatrapajii Shivajii, ci si trova catapultati in una realtà completamente diversa da quella di qualunque città europea. Sviluppo, opportunità e crescita; ma anche un cuore composto da un miliardo e trecento milioni di abitanti che si sentono invasi dalla modernità e che non la vogliono barattare con il loro modo di essere, con la loro storia, cultura e tradizione. L'India non ti permette di giudicarla ma apertamente ti giudica. Quello che accade, allora, è che in questo clima di rapido sviluppo il popolo perde continuamente la sua identità e si batte per riaffermarla ed interrompere la frenesia del fast development.

L'esperienza presso lo studio legale Paras Kuhad & Associates è stata davvero emozionante e ricca di colpi di scena. E' stata sicuramente la scelta giusta dopo aver affrontato un percorso di studi esposto verso l'internazionalità, e perfettamente in linea con le prospettive di chi, come me, vuole conoscere in modo pratico come si vive, lavora e si cresce in uno studio legale. Mi è stata data l'opportunità di assistere a udienze civili e procedimenti arbitrali, seguire i senior partner dello studio in trattative tra privati durante le loro fasi di perfezionamento. Ho costruito solidi contatti che mi hanno consentito di ottenere grandi vantaggi e hanno arricchito il mio profilo personale e professionale.

I primi giorni di lavoro sono stati i più demoralizzanti. Istruito dallo studio legale di approfondire alcune tematiche fondamentali di diritto indiano, la mia scrivania è stata sommersa da tomi di legge indiana, che avrebbero dovuto servirmi da passaporto per questa mia visita in un ordinamento di common law. Avere a che fare con il precedente giudiziario – tipico dei paesi di passata colonizzazione britannica – ha capovolto la mia idea del diritto. Stavo per inoltrarmi in un territorio in cui l'esperienza pratica e il buon senso erano più importanti delle qualifiche accademiche, e se le seconde le avevo, delle prime ero al momento sfornito.

La difficile lettura dell'Indian Arbitration and Conciliation Act, 1996 e di alcuni capitoli del Companies Act, è stata premessa imprescindibile per la successiva proposta di partecipazione a un'udienza arbitrale, premessa necessaria ma non sufficiente: accettata l'offerta di partecipare ad un arbitrato, nel giro di poche ore, la mia scrivania è stata nuovamente invasa da carte e faldoni sul caso che mi accingevo a seguire. Questa volta però l'idea mi appassionava. Finalmente qualcosa di pratico in un mare di teorie.

Con il buio fuori e Bombay in un mare di luci, mentre il monsone portava intermittenti acquazzoni, abbiamo vagliato le possibili tesi a sostegno del nostro cliente per due notti consecutive. Il mattino l'autista dello studio ci ha accompagnato sul luogo dell'udienza. Avevamo nella manica una serie di assi che ci avrebbero consentito di ottenere una sentenza favorevole, ma come bagaglio più importante avevamo un senso di gran sicurezza in noi e nelle nostre argomentazioni. Risultato: sentenza a favore, la 'mia' prima causa vinta! E dopo l'udienza un meritato pomeriggio libero e, a scherzoso coronamento della vittoria, il mio primo pan, un cibo di strada composto da una foglia nella quale è avvolto un ripieno di tabacco, cocco e eucalipto, offertomi dai colleghi.

Lavorare in questo studio legale mi ha permesso di conoscere dettagliatamente alcuni aspetti della legge indiana; studiarla è stato faticoso e allora il team di colleghi è stato determinante. Ogni volta che avevo un problema avvocati, praticanti, stagisti, studenti, associati e partner erano disposti a trascorrere anche l'intero pomeriggio ad aiutarmi a comprendere le complesse dinamiche giuridiche. Da subito considerato parte del team, sono stato coinvolto nelle riunioni e nelle decisioni. Eravamo una squadra.

Lo studio legale, inoltre, mi lasciava spazio per poter viaggiare attraverso l'India. I partner sostenevano, saggiamente, che conoscere il popolo e la cultura indiana significasse imparare a rapportarsi e trattare con loro, con evidenti vantaggi per il futuro. Il mio modo di vedere il mondo del lavoro è stato stravolto da quanto ho imparato grazie a loro. Conoscere il popolo indiano, un melting pot di culture e religioni, ha arricchito la mia autonomia di pensiero, partecipazione e spunto critico; ne sono nate nuovissime idee per il mio futuro e ho acquisito maggiore fiducia in me stesso.