Contatti

Auto elettrica, forse questa e' la volta buona

, di Antonio Sileo - research fellow dello Iefe Bocconi, l'Istituto di economia e politica dell'energia e dell'ambiente
Una ragionevole penetrazione dell'1% al 2020 si tradurrebbe in un gestibile aumento di consumi: lo 0,3%

Si parla sempre più di frequente di auto elettriche. In diverse città italiane si stanno avviando sperimentazioni e progetti pilota (Roma, Milano, Pisa, Brescia), quasi tutte le case automobilistiche ci tengono a informare che a breve avranno in listino modelli elettrici e questi ultimi spesso sono già inclusi nei piani di comunicazione di più di una utility.

In verità, non è la prima volta che la trasformazione epocale viene data per imminente per poi, in silenzio, cadere nel dimenticatoio. Qualcuno ricorda il lancio della Panda Elettra, la prima auto a essere messa in vendita da una grande casa, nel 1990. Alla quale seguirono diversi altri modelli, ma le autovetture elettriche di allora non erano in grado di reggere il confronto con modelli convenzionali da cui, inevitabilmente, derivavano: prezzo più che doppio, autonomia e velocità massima che ne rendevano un azzardo qualsiasi utilizzo al di fuori della città, abitabilità dimezzata per ospitare le ingombranti batterie. Perché, dunque, questa potrebbe essere la volta buona? Al di là dei miglioramenti tecnologici dei sistemi di accumulo (batterie di nuova generazione) e delle economie di apprendimento conseguite negli ambiti dell'elettronica di consumo, della telematica e delle vetture ibride (sempre più numerose), ci sono altre è più forti motivazioni. Innanzitutto l'imposizione di limiti di emissione e di circolazione sempre più stringenti cui va aggiunta la consapevolezza che nelle economie mature il tasso di sostituzione dei veicoli difficilmente potrà essere ulteriormente aumentato. Bisogna poi tener conto che il mercato dell'auto negli ultimi anni ha registrato l'aumento di alleanze e accordi industriali tra le case automobilistiche che, per ridurre i costi e coprire tutti i segmenti, condividono numerosi componenti - dalle piattaforme ai propulsori - e ormai interi stabilimenti. E non è certo un caso se le ultime partnership includono specifici accordi su veicoli elettrici. A ciò va aggiunto che nell'auto elettrica, e nella relativa componentistica, si stanno impegnando grandi aziende che fino ad oggi poco o nulla avevano avuto a che fare con l'automotive, il cui ingresso è agevolato anche dall'approccio verso prodotti con architetture modulari, più o meno open, adottato da alcuni costruttori asiatici, cinesi in testa. Le iniziative di piccoli produttori innovatori non sono passate inosservate né giudicate poco profittevoli, viste le quote acquisite dalle grandi case, l'esempio della Tesla Motors è lampante. Ma quanti potrebbero essere i veicoli elettrici venduti in Italia? E quanto consumeranno, per esempio al 2020? Non è esercizio facile.A fine 2009 l'intero parco effettivamente circolante superava i 32,8 milioni di auto (nel 2000 erano 29,3 milioni): di queste meno del 5,4% è alimentato con carburanti alternativi, gpl e metano (incentivati stabilmente dal 1997), benché questi ultimi, spinti dai prezzi di benzina e diesel, hanno raggiunto volumi di immatricolazioni e numerosità di modelli mai vista prima. L'altra considerazione da farsi, è che il raggio di utilizzo dell'auto elettrica sarà primariamente l'agglomerato urbano. Ora, se teniamo conto che l'auto da città più innovativa e costosa degli ultimi anni (la Smart) ha avuto bisogno di 10 anni per arrivare al milione di esemplari venduti, si potrebbe formulare una prima ipotesi di penetrazione di auto elettriche al 2020 pari all'1% del parco stimato, molto conservativamente, a 33,5 milioni. Tale penetrazione si tradurrebbe in circa 1 TWh di energia elettrica incrementale consumata (stimata con una percorrenza annua di 15.000 km e sulle specifiche tecniche dei veicoli di prossima commercializzazione), grosso modo lo 0,3% dei consumi finali attuali. Un incremento di consumi agevolmente gestibile, specie con le attuali prospettive di crescita molto modeste della domanda, e con tempistiche sufficienti per partire con la marcia giusta, ovviamente accompagnati da forti politiche e notevoli incentivi, che però trovano resistenze quando rischiano di intaccare il gettito dato dalle accise.