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Aste, il valore dell'esperienza

, di Brunella Bruno - ricercatore presso il Dipartimento di finanza
Stime affidabili e certezza della vendita di un'opera al prezzo più basso sono i must dei battitori più competenti
Brunella Bruno

Un effetto dell'incertezza sui mercati è quello di avvicinare investitori facoltosi agli investment of passion, attività non finanziarie di cui fanno parte opere d'arte, diamanti, monete e persino vino. Ma non è certo solo la passione a muovere l'acquisto di questi beni. Nel caso dell'arte, i riscontri empirici sono consolidati: investire conviene non solo perché l'arte è un bene tangibile (e come tale meno soggetto al fenomeno inflattivo) ma anche perché, in un'ottica di ottimizzazione del portafoglio di investimento, i rendimenti dell'arte sono poco correlati a quelli di azioni e obbligazioni.

Secondo l'Art market report 2013 commissionato da Tefaf (la fiera dell'arte di Maastricht), il fatturato del mercato dell'arte a livello globale è cresciuto di oltre il 100% nel decennio 2002-12 (da 20 a oltre 43 mln di euro). Fattore di sviluppo è stata la finanziarizzazione del mercato con la comparsa dell'art&finance industry, comunità eterogenea che comprende consulenti in tema di valutazione degli investimenti in arte, soggetti che prestano denaro e utilizzano l'arte come garanzia, società di revisione specializzate nel comparto di organismi che investono in arte. Per esempio, il settore degli art fund è vitale: i fondi sono circa 80 nel mondo e gestiscono un'attività in crescita, calcolata in circa 2 miliardi di euro nel 2012 (Deloitte-ArtTactic 2013).

Applicare all'arte metriche e ragionamenti tipici del mondo finanziario è però complicato perché ogni opera è unica e difficilmente valutabile. La rarità rende il mercato poco liquido, i costi di transazione per chi compravende arte rimangono elevati.

Come è emerso nel corso della sesta Art&finance conference tenutasi in occasione di Tefaf 2013, il tema della trasparenza è molto sentito nel settore. Chi opera nel business dell'arte è sensibile a qualunque metodologia o strumento che renda più oggettive le valutazioni dell'asset prescelto e guidi in modo (relativamente) razionale le decisioni di investimento. Una delle fonti informative più preziose è rappresentata dalle stime elaborate dalle case d'asta e pubblicate in catalogo prima dell'asta. La stima formula il presunto valore (prezzo) esprimibile in asta, ma poiché valutare un opera d'arte è operazione complessa, ci si limita di norma a comunicare un intervallo di valore. In realtà, non è raro che il prezzo realizzato in asta esca dal range di stima o addirittura che l'opera risulti invenduta.

Che valore si può dunque attribuire alle stime? Ci si può fidare della loro capacità di previsione? Nel working paper The value of experience: Evidence from art auctions insieme ai colleghi Emilia Garcia-Appendini (University of St. Gallen) e Giacomo Nocera (Audencia Nantes School of Management), rispondiamo a queste domande. Il lavoro si prefigge di misurare se l'esperienza (intesa come conoscenza di un artista derivante da una maggiore consuetudine alla negoziazione delle sue opere) si traduce in stime più accurate. Nel confronto di stime e risultati d'asta tra case d'asta con maggiore e minore esperienza emerge che se un'opera accede a una casa più esperta è più probabile che essa sia venduta, che le stime siano più precise (ossia che il prezzo finale ricada nell'intervallo di stima) e che i prezzi siano più bassi. Quali le implicazioni per gli operatori? La più importante è che l'esperienza emerge come criterio a cui fare riferimento nella valutazione dell'affidabilità delle informazioni rilasciate dalle case d'asta. A chi compra converrebbe rivolgersi a case d'asta con maggiore esperienza, a cui si associa una più elevata probabilità di acquistare a prezzi inferiori. Per chi disinveste sembra valere il caso contrario: prezzi più elevati si associano a case d'asta meno esperte, che offrono tuttavia una minore probabilità di vendita.