Analisi internazionale del conditional pricing and reimbursement
Negli ultimi anni un certo numero di paesi ha adottato forme di Conditional pricing and reimbursement (Cpr) per i farmaci. Il Cpr collega il rimborso di un farmaco alla valutazione di esito clinico, identificando due tipologie di accordo: a) risk-sharing: il maggiore onere finanziario dovuto all'inadeguata risposta dei pazienti a un farmaco viene suddiviso tra impresa titolare di Aic (Autorizzazione all'immissione in commercio) e terzo pagatore (stato o assicurazioni sociali e private); b) payment for performance: il produttore sostiene tutte le spese connesse al farmaco nel caso in cui questo non produca i risultati attesi rispetto agli outcome clinici concordati. Il concetto di Cpr è esteso in letteratura anche ad accordi prezzi/volumi, in cui vengono negoziati volumi prospettici di vendita e, qualora questi siano superati, il prezzo del farmaco a carico del terzo pagatore viene abbattuto. Pur nella generale condivisione dei potenziali vantaggi di tali accordi, le architetture regolatorie adottate dai paesi divergono sotto vari aspetti. Anche l'Italia ha visto un numero crescente di tali accordi, applicati in particolare a farmaci oncologici.
L'Osservatorio farmaci del Cergas ha condotto una ricerca allo scopo di analizzare le evidenze della letteratura, indagare le politiche adottate a livello internazionale, classificarle in base alle principali direttrici di differenziazione e metterne in luce le problematicità applicative emergenti. I risultati sono stati quindi utilizzati per discutere il caso italiano, consentendo di elaborare alcuni spunti di riflessione.Il primo riguarda le modalità di negoziazione degli accordi. Il processo negoziale in Italia a oggi non è del tutto lineare: la Commissione oncologica definisce con l'impresa titolare dell'Aic la struttura portante dell'accordo; il Comitato prezzi-rimborso formalizza l'accordo nell'ambito della negoziazione dei prezzi. I prezzi (e il rimborso) sono oggetto di pubblicazione. L'accordo non è invece reso pubblico.Il secondo aspetto problematico è la gestione operativa degli accordi, nella dimensione dell'attività di implementazione e di controllo e dei costi amministrativi e di transazione, ovvero della necessità da parte dei contraenti di acquisire informazioni sufficienti per sviluppare accordi soddisfacenti. Ogni accordo ha specificità tali da richiedere il coinvolgimento non solo dell'Agenzia italiana del farmaco e delle imprese, ma anche delle unità operative (essenzialmente dipartimenti di oncologia) e dei farmacisti ospedalieri. In generale, gli accordi dovrebbero essere limitati ad alcuni casi specifici, in cui esiste una reale e sostanziale incertezza sull'esito, con un rilevante impatto economico sul Servizio sanitario nazionale. Un'adozione generalizzata renderebbe molto complessa la loro gestione operativa, con il rischio di definire accordi ex ante basati su sconti predeterminati per ciclo di terapia e che verrebbero negoziati sulla base dell'ipotesi 'a priori' di pazienti non rispondenti.La complessità della gestione aumenta poi la difficoltà di operare controlli sull'effettiva applicazione degli stessi sul territorio. Qualora gli accordi venissero correttamente applicati solo in alcune realtà territoriali, si rischierebbero differenziali di accesso alle prestazioni farmaceutiche e di copertura pubblica della spesa generate da motivazioni squisitamente amministrative e non cliniche.