Amministratori locali, vittime o carnefici?
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Fabrizio Pezzani |
Le vertenze giudiziarie sui derivati stipulati dalle pubbliche amministrazioni negli anni scorsi stanno acquisendo una crescente criticità per la definizione delle responsabilità delle transazioni. La colpa è dell'incapacità delle amministrazioni o anche del contesto culturale che ha contribuito a fare diventare tali strumenti una sorta di verità incontrovertibile? Per ora, come conferma l'Alta corte di giustizia di Londra, sembra più facile attribuirle alle p.a. Così, però, non si mette in mora un contesto culturale che ha contribuito a rendere operatori, banche d'affari e studiosi sorte di sciamani della finanza, cioè guaritori magici dotati di un potere vitale da non mettere in discussione. Proviamo, dunque, a chiarire il perimetro vero delle responsabilità. Una classe politica inidonea, moralmente e culturalmente, al ruolo di conservazione del bene comune, ma più propensa alla raccolta del consenso a breve termine e alla massimizzazione del proprio bene, si è messa nella situazione di incapace oggetto di circonvenzione. Le responsabilità cominciano da loro, ma a loro è stato steso davanti un tappeto che garantiva il basso livello di rischio. Il patto di stabilità, come concepito fino al 2007, favoriva il cammino con divieti e vincoli che paradossalmente spingevano gli enti alla stipula di derivati, consentendo così l'aggiramento del patto stesso. Il contesto, poi, sembrava in grado di garantire un rapporto rischi-benefici assolutamente accettabile.
A partire dal Nobel del 1990 a Markowitz, si è cominciato ad attribuire alla finanza una sorta di alone di verità incontrovertibile; l'economia che nasce come strumento per la polis (l'economia politica), assume, sempre più, una sua dimensione autoreferenziale e diventa sovraordinata alla polis. L'economia e la finanza sono studiate solo con l'uso delle scienze esatte in una scienza che invece nasce e rimane una scienza sociale e morale. Gli studi assumono sempre più una connotazione scientifica in cui l'asimmetria informativa diventa uno strumento di potere in mano agli addetti ai lavori e crea una posizione di sudditanza culturale. Il contesto di asimmetria informativa ha caratterizzato un fatto drammatico degli anni Cinquanta, quando venne messa sul mercato la Talidomide, un sedativo per le donne in gravidanza. Il farmaco era stato sperimentato su cavie non gravide, contrariamente alle finalità applicative, e i risultati della commercializzazione furono drammatici: le donne incolpevoli che lo avevano assunto partorivano neonati amelici e focomelici. Di chi era la colpa? Delle madri o dell'azienda produttrice che lo aveva immesso sul mercato?
Sul tema della finanza e dei suoi prodotti le responsabilità non possono essere attribuite solo alle p.a., ma devono coinvolgere anche il sistema di relazioni tossiche che ha legato la politica, la finanza e l'accademia. Il dissesto a cui siamo di fronte è stato causato da uomini e non da eventi naturali e imprevedibili; che responsabilità hanno questi uomini e i loro maestri? Sarà bene cominciare a pensarci perché sbagliare è umano ma perseverare è diabolico.