All'insegna della co-creazione
E' possibile ripensare il ciclo di vita del prodotto moda riprogettandone la filiera?
Così come il modello del fast-fashion in passato ha imposto un ripensamento delle logiche di funzionamento del settore moda, ed ha creato nuovi modelli di business i cui fattori critici di successo differivano profondamente da quelli presenti in precedenza, più recentemente si assiste ad un ripensamento da parte delle aziende della progettazione della gestione del ciclo di vita del prodotto moda, il cosiddetto Product Lifecycle Management (PLM).
Se il primo cambiamento è stato prevalentemente veicolato da un nuovo attore, il fast fashion retailer, oggi assistiamo ad un cambiamento innescato da due attori in relazione tra loro: i fast fashion retailer ed il consumatore finale.
Tradizionalmente, il processo di PLM nella moda si compone di diverse fasi, dall'analisi dei trend, alla definizione del concept di collezione, alla progettazione, sviluppo e prototipazione del prodotto, sino alla produzione e al retailing. Ogni fase si basa sulla presenza all'interno dell'azienda di specifiche figure professionali, che interagiscono sequenzialmente attraverso una chiara e distinta codificazione dei compiti.
Negli anni scorsi i driver principali per implementare un efficiente processo di PLM erano la necessità di una più veloce risposta al mercato e la capacità di un rapido processo di sviluppo prodotto. Ora la sfida si è spostata ancora più a monte, e risiede nel capire, sempre in anticipo, chi saranno gli attori chiave per la progettazione del prodotto, cosa vorrà il consumatore, e dove vireranno i mercati. Diverse aziende, in particolar modo nel fast fashion e nello sportswear, sono state in grado di definire nuove practice di relazione, interazione e piattaforme di creazione del valore ridefinendole a partire dal punto di vista del consumatore, in particolare sfruttandone la propensione ad essere sempre più attivo nei contesti digitali (social media, social network, ecc.).
Un PLM sempre più condiviso con il cliente. Vediamo quali sono i principali trend.
WHAT'S HOT... 1. Cool-hunting geolocalization
Riguarda le fasi preliminari in cui il prodotto moda non è ancora stato progetto, ma è in fase pre-concettuale. E' la possibilità di prendere le ispirazioni da più fonti, un pool globale di 'editor', in grado di spaziare sia geograficamente sia attraverso diversi settori:innovazione, design, tecnologia, cultura, ed altro. I più recenti strumenti tecnologici permettono alle aziende di ottenere informazioni precedentemente non accessibili e di presidiare nicchie di mercato sconosciute. Tra questi, sono interessanti quegli strumenti che permettono anche il trend forecasting: dalla ricerca cromatica, attraverso digital kit dedicati, agli insight sui prossimi trend, dalle città più influenti del mondo. In sintesi: il fattore critico di successo non è più l'accesso all'informazione, ma la comprensione di come e dove si sia generata e la capacità di integrarla appropriandosi parte del contenuto.
2. Co-creation
Sebbene la co-creazione del prodotto moda con l'intervento del consumatore finale ed il crowd-sourcing siano la punta più visibile di un "iceberg aziendale", la versa sfida risiede nella capacità di riprogettare le modalità di interazione tra i molteplici attori che a monte sono i creatori del prodotto moda. Questo è possibile attraverso piattaforme tecnologiche scalabili, in grado di riprogettare le interazioni dalla fase di definizione del concept di prodotto sino all'immissione sul mercato. Si compongono di strumenti che facilitano la collaborazione, il risk management, il data-management condiviso grazie al coinvolgimento contemporaneo di tutti gli attori, valorizzando le competenze disponibili lungo tutta la supply-chain. Questa sfida, colta inizialmente dai conglomerati e dalle sportswear companies statunitensi, è recentemente divenuta anche alla portata di piccole e medie imprese, per le quali la possibilità di efficientamento dei processi caratteristici appare sempre più critica, in uno scenario in cui la supply-chain è sempre più complessa e diversificata geograficamente. In sintesi: sommare le competenze possedute da singoli operatori non è più sufficiente; ciò che fa la differenza nell'arena competitiva è la capacità di integrazione.
3. Mobile Engagement
Anche una volta immesso sul mercato, la gestione del prodotto moda è cruciale. Così come in passato modelli di business vincenti si sono affermati grazie al ferreo presidio delle modalità distributive e l'attenta progettazione e gestione di tutti i cosidetti touch-point con il cliente finale, oggi gli strumenti mobili che permettono l'accesso da parte del consumatore al prodotto impongono la definizione di un sistema coerente di interazione: un approccio olistico, che consideri non solo il potenziale di vendita e comunicativo, ma anche in termini di accesso e partecipazione al concept di prodotto, alla costruzione dell'esperienza di acquisto, alla progettazione ed erogazione dell'ambiente. Strumenti come il mobile scanning, il virtual wardrobe, l'experience tracking e il customer targeting sono alcuni dei nuovi touch-point. In sintesi: il mobile non è più solo uno strumento operativo di comunicazione, ma un canale di interazione che va ripensato come leva strategica.
WHAT'S NOT... 1. La cultura progettuale monocratica
Il prodotto moda è da sempre il risultato di una creazione condivisa, grazie all'apporto di più attori distanti nella filiera. Ora però è necessario tener conto di un nuovo consumatore e di una nuova generazione di concept-designer, entrambi diversi rispetto al passato, e per i quali la condivisione informativa e progettuale sono più importante della sua protezione e imposizione. In sintesi: comprendere che non è più sufficiente adattare, ma è necessario rifondare. Una nuova cultura progettuale è arrivata: dalla protezione alla condivisione proattiva. Con i benefici che ne derivano in termini di efficienza.
2. Social-media ignoring
Se anche il consumatore finale è partecipe del ciclo di vita del prodotto, anche le modalità di interazione aziendale con l'esterno devono tenerne conto. I social media non possono più essere considerati semplici canali comunicativi alternativi o complementari rispetto a quelli tradizionali. In sintesi: è necessario ripensare i social media, da strumenti di esecuzione di una strategia comunicativa a gatekeeper informativi in grado di contribuire al Product Lifecycle Management, grazie all'integrazione con i diversi processi aziendali: dal product concept al retail management.
3. L'eccesso opposto: diventare "customer-aholic"
Se è vero che il consumatore è uno dei protagonisti di questa evoluzione, è altresì vero che il ripensamento del Product Lifecycle si basa sulla condivisione con tutti gli attori che intervengono e partecipano alla creazione del prodotto, e sul ripensamento del processo stesso: da sequenza di fasi linearmente correlate, ad insiemi di fasi parallele e tra loro interattive, in un sistema non orientato alla sequenzialità ma alla circolarità. In sintesi: far entrare il consumatore in azienda non deve distogliere l'attenzione dal riprogettare il sistema. Ricordandoci sempre che se la sfida è anticipare il più possibile i bisogni latenti del consumatore, in ottica di PLM questo non è altro che il saper prendere le decisioni il più tardi possibile, senza inficiare l'efficienza dei processi.