Alitalia, perché ha deciso il sindacato
Dopo anni di apparente declino, i sindacati sono tornati prepotentemente alla ribalta con il fallimento delle trattative con la Cai, la società che sembrava destinata ad acquisire le attività di Alitalia. Il dissenso sul nuovo contratto aziendale da parte della Cgil e di altre cinque sigle sindacali ha spinto la Cai a ritirare la propria offerta, ma la mancanza di un accordo avrebbe comunque avuto conseguenze giuridiche rilevanti, afferma Stefano Liebman, ordinario di diritto del lavoro alla Bocconi, interpellato da viasarfatti25.it.
Perché si è attribuita tanta importanza alla posizione dei sindacati?
La legge sul trasferimento delle aziende in crisi prevede benefici rilevanti per l'acquirente, in deroga alla normale legge sulle cessioni. L'acquirente può rilevare solo una parte dell'azienda, tenere solo la parte dei dipendenti che ritiene utile all'attività e non essere considerato responsabile in solido dei debiti del cedente, ma a una sola condizione: che venga raggiunto un accordo con i sindacati più rappresentativi.
Questo vale anche per Alitalia?
Su Alitalia si è operato discutibilmente ad hoc su molti fronti, in nome della salvaguardia di una compagnia di bandiera, ma non su questo. La modifica della legge Marzano che, in deroga alle regole italiane ed europee, ha consentito lo scorporo tra una bad company e una con valore di mercato va in senso contrario rispetto a quanto si era legiferato fino ad oggi. L'orientamento era ormai quello di far fallire le imprese decotte. Qui si è deciso diversamente, ma le norme sul trasferimento delle aziende in crisi sono rimaste.
Serviva, dunque, l'unanimità sindacale?
Questo è discutibile. La legge si presta a essere interpretata. In un contesto come Alitalia si potevano probabilmente considerare sindacati rappresentativi anche i soli Cgil, Cisl, Uil e Ugl, ma l'abisso in cui sono precipitate le relazioni industriali in Italia fa si che ci siano altre cinque sigle che, per alcune professionalità presenti in azienda, sono nella pratica molto più rappresentative, pur essendo considerati sindacati di mestiere. Mi sembrerebbe paradossale, per esempio, escludere da un accordo simile chi rappresenta davvero i piloti o le hostess. È comprensibile che la Cgil non abbia voluto decidere per loro.
Ma così si dovranno affrontare costi sociali ingenti.
Fino a un certo punto. All'estero alcune compagnie aeree sono fallite, per poi rinascere più efficienti di prima. Il settore aereo non è in crisi nei termini in cui lo era, una trentina d'anni fa, il settore siderurgico. Allora non si volevano far fallire le imprese, perché non c'era futuro per nessuno. Oggi, invece, Alitalia è in crisi ma il trasporto aereo, al massimo, sta attraversando un momento congiunturale difficile. Air France e Lufthansa, che pure hanno mostrato interesse per i resti di Alitalia, non sono in crisi. Per gli slot in molti aeroporti italiani ci sarebbe la fila. Il fallimento di Alitalia non si tradurrebbe in un baratro sociale, ma in costi in gran parte riassorbibili da una razionalizzazione del mercato. È un tipo di evento che non giustificherebbe neppure la legislazione ad hoc. Lo spettro del fallimento è stato drammatizzato dall'eccessiva enfatizzazione del concetto di compagnia di bandiera, da salvaguardare per scelta politica.