Alesina: il modello americano è quello vincente
Le prime considerazioni sono partite da alcuni dati relativi alla produttività scientifica nel mondo accademico anglosassone e in quello italiano: "Il numero di paper scientifici pubblicati in Inghilterra è il doppio che in Italia, anche se in Italia la spesa per l'università è più alta che nel Regno Unito. Inoltre, in 40 recenti concorsi in economia, la media delle pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali per il candidato era 1.8, per il commissario 1.9. Per un professore del Boston College la media delle pubblicazioni è 30." Ma non è tutto. Alesina ha spiegato come sia molto diverso, nei due contesti, il meccanismo delle promozioni dei professori all'interno dell'università e come questo vada a incidere sulla produttività e sull'output scientifico: "In Italia, in quasi tutti i concorsi, vince un interno. Ad Harvard il numero di PhD promossi direttamente ad assistant professor, dal 1987 ad oggi, è 0. Negli Stati Uniti, infatti, vige il cosiddetto "tenure system", tale per cui un'università assume un nuovo PhD o un nuovo professore, che dopo alcuni anni viene valutato per decidere se assegnargli una cattedra o licenziarlo. Penso che questo sia un sistema fondamentale per creare degli incentivi giusti alla ricerca e alla produttività". La limitata produzione scientifica in Italia è ulteriormente confermata dalla mancanza di premi Nobel che il sistema universitario italiano è in grado di vantare. "La conclusione che io traggo da questi dati – ha affermato Alesina - è che il sistema universitario italiano non produce ricerca a livelli paragonabili a quelli di altri paesi. Promuove spesso candidati non adeguati e non fa abbastanza sforzi per premiare i migliori con criteri di eccellenza nella ricerca". I motivi di questa situazione? "La mancanza di concorrenza e di incentivi corretti. La concorrenza crea eccellenza e incentivi corretti all'interno di un mercato competitivo creano eccellenza. Nell'università italiana non c'è un controllo dell'utente: l'università italiana pubblica è finanziata dal contribuente e c'è un'ideologia un po' populista secondo cui il sistema dei concorsi dovrebbe garantire in qualche modo che tutte le università italiane siano allo stesso livello. Chiaramente non è così e il tentativo di assicurarlo in questo modo provoca confusione anziché risolvere il problema". Le soluzioni che Alesina ha proposto sono decisamente radicali: "Prima di tutto l'abolizione totale dei concorsi e dell'idoneità: ogni università assuma chi vuole, con salari liberi e differenziati che premino la ricerca e l'insegnamento. Bisogna affidarsi al mercato. Bisogna che la scelta degli studenti decida quali sono le università buone e quelle meno buone e da qui derivino il prestigio e i fondi per l'università". L'esempio da seguire è allora costituito da due iniziative di rottura, che vanno proprio nella direzione suggerita: "Una è l'Istituto Italiano di Tecnologia, che vuole operare con criteri simili a quelli dei grandi istituti di ricerca americani e vuole essere un catalizzatore per far rientrare cervelli scientifici dall'estero. L'altra è l'Università Pompeu Faber di Barcellona, che si è messa completamente al di fuori del sistema universitario spagnolo, e fa assunzioni con uno stile di "tenure" all'americana per attirare professori da MIT, Columbia, New York University, Stanford, Harvard". Resta da valutare come si colloca la Bocconi in questo panorama e in che modo si debba comportare. Alesina non ha dubbi: "Il mio consiglio alla Bocconi è di abbandonare del tutto le modalità dell'università pubblica, adottare i sistemi di assunzione ad incentivi simili a quelli delle università americane, salari liberalizzati e funzionali alla produttività nella ricerca scientifica e nell'insegnamento, rafforzando quello che in parte ha già fatto, cioè un sistema di reclutamento internazionale. Internazionalizzare la Bocconi vuol dire renderla più simile a una università anglosassone e in particolare a una università americana". La ricerca, peraltro, deve andare di pari passo con l'insegnamento: "Ricerca e insegnamento sono una sinergia, non un'alternativa.Una buona qualità dell'insegnamento è una condizione necessaria ma non sufficiente per una università di prestigio e di livello mondiale". Per raggiungere questi obiettivi occorrono naturalmente risorse economiche: "La Bocconi deve fare molto più fund raising. Non bisogna avere timore ad usare i nomi dei donatori". "La Bocconi è a un bivio - ha concluso Alesina -: da un lato c'è la strada della mediocrità del sistema pubblico italiano; dall'altro ci sono le scelte coraggiose e costose che rendono la Bocconi allo stesso livello, se non meglio, della London School of Economics, di Pompeu Faber, o della mia stessa università, Harvard. Questa seconda strategia implica dare spazio a quei giovani che si sono formati all'estero, che sono tornati e che hanno energia e iniziativa. Se la Bocconi sceglierà questa seconda strada io credo che tutti noi bocconiani all'estero saremo disposti con grande entusiasmo a dare il nostro apporto". |