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Aggregazioni per uscire dalla crisi con onore

, di Guido Corbetta - titolare della cattedra Aidaf-Alberto Falck di strategia delle aziende familiari alla Bocconi
Pmi. Regioni, camere di commercio e associazioni dovrebbero promuoverle, a basso costo, con appositi sportelli

Con la crisi tutti i settori, tranne alcuni come l'alimentare o il farmaceutico, sono stati colpiti da cali di volumi di attività nell'ordine anche del 25-30% senza poter agire sui prezzi. Molti imprenditori hanno risposto riducendo i costi (anche utilizzando gli ammortizzatori sociali previsti dal sistema) e cercando, pur con fatica, di migliorare l'innovatività dei propri prodotti e servizi e di trovare nuovi spazi di mercato in aree del mondo a maggior crescita. Le imprese più grandi hanno affrontato la crisi intervenendo su masse di costi più grandi e internalizzando alcune attività prima comprate da terzi fornitori.

Per le imprese più piccole queste due leve sono in gran parte inutilizzabili perché i costi sono comunque di dimensione contenuta (e gli sprechi sono minori) e perché l'esternalizzazione di attività non è significativa. Anzi, la politica adottata dalle imprese più grandi ha accentuato gli effetti negativi della crisi sulle imprese più piccole. Lo dimostra il fatto che, quando tra fine 2009 e inizio 2010 gli ordini sono tornati a crescere (rispetto al minimo toccato nel primo semestre '09), le piccole imprese hanno fatto più fatica a riadeguare le produzioni perché i tagli effettuati nei mesi precedenti hanno minato la stessa funzionalità aziendale.Di fronte a questa situazione era velleitario pensare che tutte le piccole imprese potessero superare le difficoltà. Alcune erano già così gracili prima dell'avvento della crisi che non hanno resistito e sono state chiuse o sono entrate in procedure di vario genere. In altri casi, imprenditori non giovani senza eredi motivati e capaci hanno legittimamente preferito concludere il proprio ciclo imprenditoriale liquidando l'attività o vendendola. Anzi, in realtà, ancora troppo pochi imprenditori, per un mal risposto orgoglio imprenditoriale, hanno valutato questa possibilità come un'onorevole uscita dalla crisi, utile a loro e anche al sistema economico nel suo complesso. In questo modo, infatti, gli imprenditori valorizzano almeno una parte del valore che hanno prodotto negli anni passati e nascono imprese un poco più grandi e più forti, in grado di reggere meglio il prolungarsi della crisi e l'incertezza sul futuro.A mio parere, tutti coloro che influenzano le scelte degli imprenditori (in primis, le banche) dovrebbero facilitare azioni di aggregazione tra le piccole imprese.Non è facile convincere più imprenditori a mettersi insieme lasciando magari a uno di loro il ruolo guida. Ma è dovere di policy maker, banche, associazioni di imprenditori, opinion maker, giornalisti continuare a mostrare i vantaggi di tale politica e mettere a punto strumenti che la facilitino. Qualche mese fa Confindustria ha lanciato un programma che prevedeva la fusione di più società sotto una holding guidata da un manager. Non conosco i risultati concreti di tale proposta e quindi non so quanti imprenditori l'abbiano utilizzata. Ho l'impressione, però, che non abbia raccolto grande successo perché un po' troppo complicata in termini organizzativi e troppo standardizzata. Credo che sarebbe meglio lavorare "chirurgicamente" su singole persone e situazioni per trovare di volta in volta la soluzione aggregativa migliore. Forse le Regioni, le associazioni degli imprenditori o le camere di commercio potrebbero aprire una sorta di "sportello aggregazioni" al quale ogni imprenditore interessato, o anche due imprenditori che abbiano già cominciato a valutare l'ipotesi, possano rivolgersi per chiedere un consiglio. Un team di consulenti potrebbe svolgere una prima analisi e, nel caso, suggerire un'aggregazione. Se l'analisi ha esito positivo si potrebbe valutare l'utilizzo di strumenti agevolativi e coinvolgere le banche per gli opportuni aiuti. Dovrebbe trattarsi di un'iniziativa a basso costo e quindi facilmente sperimentabile. Occorre superare una barriera: quella dell'orgoglio degli imprenditori che vivono l'aggregazione come una sconfitta. Ma è meglio continuare a lavorare insieme ai propri 5 o 10 dipendenti in un'altra impresa più grande o è meglio dover liquidare tutto quanto si è costruito in anni o decenni di lavoro?