Quando il fondo e' sovrano il premio e' modico
Il caso forse più noto è quello del 4,6% di UniCredit nelle mani della Central Bank of Libya, ma, a scorrerla tutta, la lista degli investimenti di fondi sovrani nelle imprese italiane è piuttosto lunga. Oltre a società quotate (Mediaset, Finmeccanica e Eni), vi sono numerosi altri investimenti in asset italiani (come la Ferrari o noti alberghi) in cui fondi sovrani detengono una partecipazione di rilievo.
I fondi sovrani (Sovereign wealth funds o Swf) sono veicoli governativi d'investimento tipicamente finanziati con i proventi derivanti dall'esportazione di materie prime, dalla cessione di asset in cambio di valuta straniera, da avanzi del bilancio statale, o dai saldi pensionistici di sistemi previdenziali in avanzo. Si tratta di una classe di investitori che sta assurgendo a un ruolo di primo piano sulla scena della finanza internazionale in considerazione delle masse finanziarie gestite. Le stime più prudenti quantificano in circa 5.000 miliardi di euro le risorse finanziarie oggi a disposizione di questi fondi sovrani, ma si tratta di una stima ampiamente per difetto dal momento che per molti di essi, e presumibilmente proprio per quelli di maggiori dimensioni, non sono di fatto disponibili dati ufficiali sull'entità e natura delle risorse a disposizione. L'emergere dei fondi sovrani come attori di primo piano sulla scena finanziaria ha differenti implicazioni a seconda dei soggetti considerati. Per le imprese i fondi sovrani rappresentano un rilevante canale potenziale di finanziamento, e, adirittura, un partner strategico nel contesto di situazioni 'speciali' (basti pensare ai numerosi interventi sul capitale delle banche occidentali durante le fasi più acute dell'attuale crisi finanziaria). Per alcuni settori politici, al contrario, i fondi sovrani più che un'opportunità rappresentano una minaccia. Ciò in quanto i fondi sovrani sono di emanazione governativa o comunque mantengono stretti legami con le autorità politiche del paese d'origine, ma acquisiscono partecipazioni in aziende operanti in settori strategici (o ritenuti tali) per gli interessi nazionali dei paesi target. Nel quadro di questo dibattito, una analisi esplorativa condotta in Bocconi ha cercato di valutare il comportamento 'acquisitivo' dei fondi sovrani, misurando i premi pagati nel contesto di acquisizioni di pacchetti di controllo o di minoranza qualificata in società quotate. In particolare si sono identificate 151 transazioni condotte a livello internazionale dall'inizio degli anni Novanta a oggi. L'entità media del premio di queste transazioni è risultata dell'8,4% il giorno precedente l'annuncio, del 10,7% una settimana prima, e del 12% il mese precedente. Questo trend decrescente all'avvicinarsi della data di annuncio delle operazioni è coerente con il fenomeno di fuga di notizie che normalmente si osserva nell'ambito di queste operazioni. Ciò che rileva, tuttavia, è che tali valori risultano inferiori rispetto a quelli individuati dalla molte ricerche empiriche sui premi pagati nel contesto di cessione di pacchetti di controllo. La spiegazione dell'entità relativamente ridotta dei premi pagati dai fondi sovrani risiede probabilmente nel fatto che essi non sono buyer strategici ma tipicamente finanziari, e non sono quindi intenzionati o in grado di ricavare sinergie operative o finanziarie a seguito dell'acquisizione. D'altro canto, l'entità del premio non è marginale e sembrerebbe incorporare un corrispettivo per ritorni di natura extra-finanziari nella forma soprattutto di condivisione del controllo sulle società acquisite. Si tratterebbe quindi di un 'sovrapprezzo' che i fondi sovrani sarebbero disposti a pagare nell'ambito delle transazioni come 'ticket d'ingresso' nella compagine azionaria e nella governance delle imprese target. I dati sembrano quindi suggerire che, in media, non vi è un over-payment da parte dei fondi sovrani, e questa evidenza confligge con una certa percezione diffusa dei fondi sovrani come investitori poco sofisticati sul piano della valutazione e della negoziazione dei deal. Molti fondi sovrani hanno già manifestato il loro interesse a continuare la campagna di investimenti in Usa come in Europa e in Italia ma i venditori sono avvertiti: spuntare buoni prezzi non sarà facile.