Perche' non tassare le multinazionali
L'abitudine di tassare i profitti delle multinazionali è il retaggio di un'epoca in cui "GM doveva costruire le auto a Detroit e Hollywood doveva produrre i film a Los Angeles", ma ora è inefficiente e dannosa per il benessere globale, afferma un nuovo studio di Nicolai Foss, Rodolfo Debenedetti Chair of Entrepreneurship dell'Università Bocconi, e colleghi. La soluzione ottimale sarebbe quella di azzerare l'imposta sulle società e sostituirla con un aumento delle imposte sui dividendi e sulle vendite.
Il problema dei profitti come oggetto da tassare è che, idealmente, i governi dovrebbero tassare le multinazionali per il loro consumo di beni pubblici locali, e i profitti ne sono un cattivo indicatore. Inoltre, gli utili sono estremamente mobili e le multinazionali possono facilmente trasferirli da luoghi con un'elevata imposizione fiscale sulle società a luoghi con un'imposizione inferiore, attraverso il meccanismo dei prezzi di trasferimento. Infine, le imposte sugli utili riducono gli incentivi ad investire, privando i mercati locali di ricadute positive (come l'occupazione) e di esternalità (l'indotto di imprese acquirenti, fornitori e indotto che la presenza di una multinazionale comporta).
I costi dell'inefficienza delle imposte sulle società, notano gli autori, includono le enormi spese sostenute dai governi per controllare e monitorare attività commerciali legittime, così come le spese di compensazione sostenute dalle multinazionali per generare "un velo di segretezza" intorno alle loro attività.
La tassazione dei profitti delle imprese aveva senso quando i costi delle transazioni transfrontaliere erano elevati e le imprese multinazionali dovevano trasferire intere catene del valore in un mercato nazionale. Tuttavia, oggi tali costi di transazione sono drasticamente diminuiti e le imprese multinazionali possono segmentare con precisione le loro catene di valore, sfruttando appieno i vantaggi offerti dalle risorse locali specializzate.
Dal momento che, come affermano gli autori, "location e aziende hanno bisogno gli uni degli altri come fiori e api", l'istituzione della filiale di una multinazionale è preceduta da un processo di selezione che mette le location in concorrenza a colpi di tagli fiscali e sussidi.
In linea di principio, le multinazionali dovrebbero scegliere una location secondo l'adeguatezza delle risorse locali rispetto al singolo anello della loro catena del valore e questo comportamento garantirebbe sia i migliori risultati per l'impresa che il massimo benessere globale possibile. Nel mondo reale, tuttavia, i manager spesso scelgono i benefici a breve termine di una riduzione delle imposte rispetto alla creazione di valore a lungo termine, danneggiando in ultima analisi anche i loro azionisti.
In presenza di una tale concorrenza, l'unico equilibrio, mostrano gli studiosi, è la riduzione delle aliquote dell'imposta sul reddito delle società a zero. Propongono quindi di tassare i veri beneficiari delle attività delle multinazionali, gli azionisti e i consumatori, attraverso un aumento delle imposte sui dividendi e sulle vendite. "Trovare un giusto mix di tasse che renda la nostra proposta finanziariamente sostenibile è tutt'altro che impossibile", scrivono gli autori, usando il caso del Regno Unito come esempio.
Le imposte sui dividendi e sulle vendite, sostengono gli autori, sono molto più facili da armonizzare rispetto alle imposte sulle società e, rendendo inutili le pratiche di earning management, tali politiche hanno il salutare effetto collaterale di consentire alle multinazionali di concentrarsi sulle loro attività principali.
Nicolai Foss, Ram Mudambi, Samuele Murtinu, Taxing the Multinational Enterprise: On the Forced Redesign of Global Value Chains and Other Inefficienciese, di prossima pubblicazione sul Journal of International Business Studies.