Il panico che rallenta le epidemie
Mentre i modelli degli epidemiologi considerano il comportamento individuale durante un'epidemia una costante (si limitano a dividere le persone tra reattive, che cioè cambiano le loro abitudini a causa dell'infezione, e non reattive), in realtà il comportamento cambia nel corso dell'epidemia in funzione del rischio percepito. I titoli dei giornali o i contatti diretti con persone infette possono convincere le persone a lavarsi più spesso le mani, evitare i luoghi affollati o limitare i viaggi, influenzando così la diffusione del contagio. Anche il comportamento dei contagiati ha effetti sulle dinamiche di diffusione perché gli individui infetti sono spesso costretti a modificare i propri comportamenti, per esempio rimanendo a casa anziché andare a scuola o in ufficio.
Un paper premiato con il Bellman Prize 2015 (che va al miglior articolo pubblicato su Mathematical Biosciences nei due anni precedenti) tiene in considerazione questi fattori per disegnare un modello strutturato come un gioco evolutivo. Piero Poletti (postdoctoral researcher al Centro Dondena per la ricerca sulle dinamiche sociali e politiche pubbliche), Marco Ajelli e Stefano Merler (entrambi Fondazione Bruno Kessler) modellano la risposta delle persone all'epidemia come un gioco strategico, in cui l'adozione delle diverse strategie è dettata dalla convenienza percepita dei diversi comportamenti possibili, che dipende esplicitamente dalle dinamiche di diffusione. (Risk Perception and Effectiveness of Uncoordinated Behavioral Responses in an Emerging Epidemic, in Mathematical Biosciences, 238, 80-89, doi: 10.1016/j.mbs.2012.04.003).
Le dinamiche di trasmissione dell'infezione interagiscono con le dinamiche imitative delle persone nel determinare la diffusione dell'epidemia, con effetti sulle dimensioni finali dell'epidemia, la prevalenza nei picchi giornalieri e il giorno di picco. Quando l'epidemia è talmente diffusa che il comportamento reattivo ottiene risultati evidentemente migliori, i non reattivi tendono a imitare questo comportamento e a diventare reattivi. Secondo il modello, anche una lieve riduzione dei contatti di una persona può fare la differenza in termini di diffusione del contagio e tre fattori possono determinare questa riduzione. Prima di tutto, è fondamentale un'informazione tempestiva: quando c'è un ritardo tra lo scoppio di un'epidemia e la consapevolezza del pubblico, le risposte umane perdono efficacia. Il ricordo di epidemie passate, inoltre, può rendere più reattive le persone. Infine, sintomi molto evidenti, come tosse o starnuti, accelerano le modifiche comportamentali.
Se la diffusione del panico può prevenire la diffusione di un'epidemia, è vero anche il contrario e la mancanza di paura può rivelarsi un problema, come nel caso delle vaccinazioni infantili: dopo un lungo periodo senza morbillo, per esempio, le famiglie tendono a sottostimare la gravità della malattia e a sovrastimare gli effetti collaterali del vaccino, con la conseguenza che la percentuale di vaccinati declina e il rischio di nuove epidemie si fa reale.