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Il buon management fara' bene ai conti della sanita' italiana

, di Fabio Todesco
E' online nel sito del CERGAS il Rapporto OASI 2012, che suggerisce come soddisfare le necessità finanziarie del sistema sanitario pubblico

Il sistema sanitario pubblico italiano è efficace e non particolarmente costoso secondo gli standard europei. Nel 2010 la spesa sanitaria pro-capite in Italia ammontava a 2.964 $PPA (dollari parità di potere d'acquisto), contro i 3.765 della media UE-15, e la parte coperta dal settore pubblico era di 2.292 $PPA (2.920 $PPA nella UE-15), pari al 7,4% del PIL (8,2% nella UE-15), con una copertura pubblica della spesa totale, pari al 77,5%, in linea con quella europea, anche se più bassa rispetto ai sistemi strutturalmente comparabili di Danimarca e Regno Unito.

Negli ultimi anni la spesa è aumentata in modo contenuto, ma comunque superiore alla crescita del PIL e in futuro non potrà che aumentare ulteriormente, se si vuole dare spazio all'innovazione clinica e tecnologica (che in questo campo significa possibilità di cura per malattie che finora non possono essere curate) e se si considera la dinamica demografica italiana.

È, questo, il quadro generale tracciato dal Rapporto OASI 2012, l'annuale rapporto dell'Osservatorio sulla funzionalità delle aziende sanitarie italiane, appena pubblicato nel sito del CERGAS Bocconi.

L'evoluzione del Servizio sanitario nazionale, spiegano gli studiosi, dovrà certamente essere finanziata e per farlo sono necessari il ripensamento, almeno parziale, dei servizi e l'individuazione di fonti aggiuntive di finanziamento. La risorsa scarsa che giocherà il ruolo centrale sarà, perciò, il buon management.

Non hanno molte possibilità di successo i tagli lineari, uguali per tutti, grazie ai quali si spera che gli operatori riescano a fornire gli stessi servizi con meno risorse. Il sistema è ormai estremamente diversificato su base regionale e locale, tanto che convivono realtà che hanno già prodotto poderosi sforzi di efficienza e altre in cui esistono certamente spazi di manovra. Non ha senso imporre gli stessi sacrifici alla Lombardia (che dal 2001 al 2011 ha cumulato un disavanzo pro-capite pari a 38 euro) o all'Emilia Romagna (disavanzo pro-capite cumulato pari a 91 euro) e al Lazio (disavanzo accumulato di 2.468 euro pro-capite), al Molise (2.090 euro) e alla Campania (1.501 euro).

Soluzioni suggerite dal buon management possono, invece, essere il miglioramento della logistica dei beni e dei pazienti, l'integrazione ospedale-territorio, nuovi modelli organizzativi per l'ospedale. Un approfondimento viene, in questo senso, dedicato alla "presa in carico" del paziente cronico, ovvero della sua attribuzione ad uno specifico attore responsabile della cura e del coordinamento degli interventi. Oggi, invece, i cronici pesano in modo sproporzionato sulle casse del sistema pubblico, a seguito di percorsi disordinati tra ricoveri, assistenza del medico di medicina generale, ricorsi al pronto soccorso, duplicazioni di esami.

Buon management significa l'adozione di nuove logiche, che assicurino un migliore utilizzo delle sale operatorie o una riduzione ragionata dei posti letto, anche attraverso l'organizzazione degli ospedali per intensità di cura, anziché per specialità mediche. Dove le strutture fisiche lo consentano, risulta infatti molto più efficiente presidiare su base 7/24 i reparti ad alta intensità, i cui pazienti necessitano di assistenza continua, e dedicare meno risorse (ad esempio chiudendoli nel fine settimana) ai reparti a più bassa intensità, riservati a chi ha subito interventi di routine e richiede degenze brevi.

Il rapporto suggerisce anche alcune modalità per convogliare ulteriori risorse nel sistema sanitario pubblico. La prima è una maggiore attenzione ai risvolti economici del business sanitario. Non pare, ad esempio, che le aziende riescano a ottenere ritorni economici significativi dall'attività intra-moenia degli specialisti, ai quali è consentito, in alcuni orari, di esercitare attività privata nelle strutture pubbliche, in cambio della retrocessione di una quota all'azienda pubblica. Né risulta che, salvo alcune eccezioni, le aziende sappiano cogliere i benefici, economici e di immagine, delle sperimentazioni cliniche di farmaci e cure.

In un paese in cui il numero dei badanti (774.000) ha superato quello dei dipendenti del Servizio sanitario nazionale (646.000) anche una ridefinizione dei meccanismi di finanziamento e di erogazione dell'assistenza socio-sanitaria, oggi prevalentemente gestiti dall'Inps e rivolti alle famiglie, potrebbe alleviare le necessità economiche del sistema sanitario nazionale e migliorare l'assistenza ai non autosufficienti.

Infine, sarebbe opportuno che i fondi integrativi giocassero un ruolo diverso da quello svolto finora. A fronte di un alto numero di iscritti, i rimborsi sono molto limitati e la copertura finisce per non essere complementare a quella pubblica, bensì per duplicarla. La situazione migliorerebbe se i fondi si concentrassero su ciò che il sistema pubblico stenta sempre più a fornire, come la copertura odontoiatrica o per il long-term care.

Il Rapporto OASI 2012 può essere scaricato CLICCANDO QUI.