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Gli investitori di mezza eta' che salvano la borsa americana

, di Carlo A. Favero, Arie Gozluklu e Andrea Tamoni - rispettivamente, ordinario di economia politica e dottorandi presso il Dipartimento di finanza della Bocconi
Alcune analisi mettono in relazione le variabili demografiche e l'andamento di Wall Street. Facendo sperare bene per il futuro

In un periodo di violente fluttuazioni dei corsi azionari è interessante guardare ai mercati con un'ottica di più lungo periodo. Analizziamo i dati dal mercato statunitense, considerando il valore in termini reali (usando l'indice dei prezzi al consumo per deflazionare i dati nominali) di un dollaro investito nel mercato azionario Usa nel 1900 con reinvestimento dei dividendi percepiti. Il valore dell'investimento nell'indice Standard & Poor's è salito progressivamente fino a 800 volte il valore iniziale a fine millennio e ha poi fluttuato fino a raggiungere un livello pari a 500 volte il valore iniziale a fine 2008. Siamo alla fine di un trend secolare?

Un'analisi più attenta dei dati rivela che le diverse generazioni da inizio '900 a oggi hanno regolarmente sperimentato fluttuazioni rilevanti. 100 dollari investiti nel 1951 sarebbero diventati 600 vent'anni dopo (con un rendimento annuale medio di circa 9%), mentre la stessa cifra investita nel 1959 sarebbe diventata solo 160 dollari nel ventennio successivo (con un rendimento annuale medio del 2%). È possibile capire cosa spiega le fluttuazioni dei rendimenti del mercato azionario su un orizzonte ventennale? La figura illustra un'idea. Riportiamo i rendimenti ventennali con la variabile che chiamiamo MY, cioè il rapporto tra la popolazione tra i 40 e i 49 anni (middle) e quella tra i 20 ed i 29 anni (young) negli Stati Uniti (middle-to-young).Le fluttuazioni nei rendimenti mostrano una chiara correlazione con le fluttuazioni demografiche e le proiezioni per MY fino al 2050 (disponibili sul sito del Bureau of Census), che potrebbe indurre un certo ottimismo per l'investimento azionario.Cosa spiega la (cor)relazione tra la demografia e le fluttuazioni dei rendimenti azionari? Geanakoplos, Magill e Quinzii (2004, Demography and the Long Run Behavior of the Stock Market) offrono una potenziale risposta a questa domanda considerando un modello (a generazione sovrapposte) in cui la struttura demografica riflette l'andamento delle nascite negli Usa che sono state caratterizzate da periodi ventennali alternati di crescita e contrazione. GMQ studiano l'equilibrio di un'economia di scambio ciclica in cui si alternano tre generazioni: gli agenti prendono a prestito quando sono giovani, investono nella loro mezza età e vivono dei proventi dei loro investimenti da vecchi. In questa economia il rapporto dividendo/prezzo (cioè il rendimento di lungo periodo nell'investimento azionario) è proporzionale a MY. Un livello alto di MY spinge in alto i prezzi azionari, perché prevalgono nell'economia i flussi di investimento nel mercato azionario. In un lavoro recente Favero, Gozluklu e Tamoni (2009, Long-Run Factors and Fluctuations in the US Dividend-Price ratio, mimeo, Igier, Dept. of Finance, Bocconi) analizzano le implicazioni empiriche del modello GMQ identificando econometricamente un equilibrio di lungo periodo per il rapporto dividendi-prezzi consistente con gli andamenti delle variabili riportate nella figura. FGT illustrano come il valore di equilibrio che si evolve lentamente nel tempo a cui tende il rapporto dividendi-prezzi sia determinato da MY assieme a un trend che coglie lo sviluppo della tecnologia. A conseguenza di questo fatto i trend demografici risultano molto significativi per la previsione dei rendimenti azionari nel medio-lungo periodo. Gli stessi trend demografici portano a indicare un rendimento annuale reale medio attorno all'8% per il mercato azionario nei prossimi venti anni.Prospettive interessanti, dunque, rese ancor più interessanti dalla crisi che ha migliorato di molto le prospettive degli investitori da oggi in avanti. Soprattutto se la struttura della popolazione americana continuerà nei prossimi venti anni a essere la componente più rilevante nella determinazione della struttura per età degli investitori nella borsa Usa.