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Dove vanno le piccole imprese

, di Andrea Celauro
Modelli di sviluppo, rappresentanza, made in Italy, credito: i problemi delle pmi affrontati ieri in una giornata di studio organizzata dal Centro Enter

L'obiettivo dell'Enter, il Centro di ricerca imprenditorialità e imprenditori della Bocconi, era di stimolare un vero dialogo sulle pmi. E così è stato ieri, nel corso di un incontro nell'ateneo nel quale si sono confrontati docenti Bocconi e personaggi che a vario titolo si occupano della piccola e media impresa italiana. Molti i temi sul tavolo, stimolati dalla presenza di Dario Di Vico, giornalista del Corriere della Sera, autore di un'inchiesta sui 'piccoli' d'Italia. Nelle due sessioni dell'incontro si è parlato di tutto: dal problema della rappresentanza, al made in Italy, dal modello produttivo italiano al rapporto tra banche e imprese.

Ed è proprio Di Vico a evidenziare i tratti salienti sulle pmi emersi dalla sua esperienza. Innanzitutto, un cambio di rotta nella visione del sistema economico: "I problemi delle pmi ci hanno riportato ai problemi dell'offerta, dopo un ciclo culturale concentrato sulla domanda. Un offertismo, cosa singolare, che però non è contro il mercato, che non chiede un intervento statale". Il giornalista ha poi sottolineato come, riguardo al made in Italy, all'indicazione che comunemente è data alle pmi di 'salire di gamma', ossia puntare sulla qualità del prodotto creando una galassia di nicchie per contrastare la concorrenza cinese, esista anche una tesi opposta. Un modello che non vede in questa galassia di nicchie la soluzione, perché andando a colpire una fetta di mercato ristretta, non produce significativi margini in termini di profitto. Altro tema è poi quello della rappresentanza: "La Confindustria ha una base fatta di piccoli ed esprime un vertice fatto da grandi, sebbene si dica che i grandi portano contribuzione. E sta aumentando il peso delle ex partecipazioni statali". Riferendo poi dell' "operazione Capranica", ossia l'idea che si sta concretizzando di un'associazione alternativa a Confindustria con artigiani e commercianti, sottolinea come "siamo in un periodo in cui la rappresentanza si sta evolvendo".

"Sono ancora più ottimista di Di Vico sui piccoli", ribatte Paolo Preti, docente della SDA esperto di pmi. Sul tema del passato focus sulla domanda, "la spiegazione è che l'offerta dei piccoli va molto all'estero, quindi non generava interesse all'interno". Mentre, sulla politica industriale "è meglio che in questo paese non sia fatta, perché l'esempio è Gioia Tauro; basterebbe qualche buona legge in materia fiscale". Sottolinea positivamente invece il fatto che il focus dell'interesse si sia spostato sull'imprenditore, "soggetto che finalmente è al centro del dibattito e lì noi dobbiamo mantenerlo". Preti parla poi dei prodotti italiani rispetto alla concorrenza estera: "Il tema oggi non è il made in Italy, ma il made in seguito dalla ragione sociale dell'azienda, ossia conquistarsi singolarmente lo spazio". Mentre su Capranica: "È cosa fondamentale, speriamo che funzioni". Infine, sottolinea l'importanza di difendere il modello peculiare italiano, basato su piccola dimensione, manifatturiero, anima imprenditoriale e proprietà familiare: "Per uscire dalla crisi dobbiamo mantenere questi punti cardine del modello, ma dobbiamo dire agli imprenditori che al suo interno va cambiato tutto, a partire dalle strategie di costo". Aggiunge Guido Corbetta, titolare della cattedra Aidaf-Alberto Falck della Bocconi: "Non possiamo salvare tutti gli imprenditori, ma non dobbiamo neanche salvarli tutti, dobbiamo aiutarli ad auto-selezionarsi". E sull'anima manifatturiera della produzione italiana, sottolinea Alberto Catalani della SDA Bocconi: "Bisogna comprendere che perdere il manifatturiero non è solo perdere un pezzo di economia, ma un pezzo di cultura". D'altronde, spiega Stefano Zapponini, dell'Unione degli industriali e delle imprese di Roma, "dalla crisi è emerso un enorme deficit di competenze dei piccoli imprenditori. I primi che lo capiranno saranno i primi a uscirne". Altro problema, infine, è evidenziato da Alberto Bramanti, docente Bocconi di economia regionale: "Si riducono gli spazi per i prodotti italiani nella grande distribuzione". Nella seconda parte, si parla invece di banche. Gregorio De Felice (Intesa Sanpaolo): "È cambiato il mondo delle imprese e si modifica il rapporto con le banche. Sono cresciute le necessità delle aziende nel finanziamento dell'innovazione e dell'internazionalizzazione. Bisogna sgombrare però il campo dall'idea che la mancata crescita recente del paese derivi dal mancato credito alle imprese". E riguardo al processo di auto-selezione delle aziende, De Felice si domanda: "Cosa devono fare le banche, devono stare a guardare o devono attivamente favorire l'evoluzione del sistema produttivo?". L'importante, tra banche e imprese, è però "che si superi la contrapposizione e si vada verso una vera partnership". Ribatte Stefano Caselli, ordinario Bocconi esperto di banche: "La nota positiva è che il segnale di voler lavorare insieme c'è già", ma, parlando proprio delle banche, teme un ritorno all'idea del "piccolo è bello", "altrimenti tra cinque anni ci ritroveremo con migliaia di piccole banche fatte da imprenditori, le quali non gioverebbero al sistema nel suo complesso". Inoltre, conclude Caselli, "il problema di questo paese, guardando al lato delle imprese, è che non ama il tema dell'equity. In Italia non esistono incentivi fiscali per questo e per l'autofinanziamento: su questo punto va fatta una riflessione seria".