Come le decisioni aziendali muovono l’economia
Siamo abituati a pensare che i destini dell’economia dipendano da decisioni prese in alto: banche centrali, governi, politiche fiscali. Ma, a volte, i veri motori dei cicli economici si trovano più in basso: nelle scelte quotidiane delle imprese, nei loro prezzi, nei loro margini di profitto.
È la prospettiva che guida Basile Grassi, Assistant Professor del Dipartimento di Economia e ricercatore all’Innocenzo Gasparini Institute for Economic Research (IGIER) della Bocconi, insieme a Ariel Burstein (UCLA) e Vasco M. Carvalho (Università di Cambridge). Nel loro studio “Bottom-Up Markup Fluctuations”, pubblicato sul Quarterly Journal of Economics, gli autori ribaltano l’approccio tradizionale all’analisi dei cicli economici.
L’economia vista dal basso
Invece di partire da grandi numeri aggregati come il PIL o l’inflazione, i ricercatori osservano ciò che accade dentro le imprese. Basile Grassi e i suoi coautori hanno raccolto dati relativi a oltre 400.000 aziende francesi tra il 1994 e il 2019, tracciando l’evoluzione del “mark-up” — cioè la differenza tra il prezzo di vendita e il costo di produzione — per capire come le singole strategie aziendali contribuiscano alle oscillazioni complessive dell’economia.
L’analisi di questa enorme base di dati mostra che i margini di profitto delle imprese non si muovono tutti nella stessa direzione. “Il markup dell’impresa media è contro-ciclico rispetto alla produzione del suo settore”, scrivono gli autori. In altre parole, quando l’economia va bene, molte piccole e medie imprese tendono a ridurre i margini per restare competitive; ma per le grandi aziende accade l’opposto.
“I mark-up delle grandi imprese sono pro-ciclici, mentre quelli delle piccole sono contro-ciclici”. Ciò significa che, nei momenti di espansione economica, i giganti riescono ad aumentare i prezzi più dei costi, ampliando i profitti; mentre le imprese minori devono tagliare i margini per non perdere terreno.
Un effetto domino che arriva fino al PIL
Queste differenze non restano confinate nei bilanci aziendali. Si trasmettono lungo le catene del valore, si amplificano e finiscono per incidere sull’intera economia. Quando un grande produttore cambia i propri prezzi, l’effetto si propaga ai fornitori, ai distributori e ai consumatori, generando onde che possono muovere in un senso o nell’altro addirittura l’economia nazionale. È un’economia “granulare”, dove i comportamenti delle singole imprese contano tanto quanto i trend globali.
Una lezione per la politica economica
Questa visione dal basso ha implicazioni importanti per chi ha il compito di progettare politiche industriali o regolamentazioni. Se la concentrazione di mercato aumenta — cioè se pochi grandi gruppi controllano interi settori — anche la risposta dell’economia agli shock cambia: diventa più diseguale e meno prevedibile.
Per Grassi e i suoi coautori, riconoscere il ruolo delle imprese nella dinamica dei cicli è essenziale per capire la resilienza (o la fragilità) di un’economia moderna. Le crisi, insomma, non nascono sempre da eventi straordinari: a volte si preparano lentamente, nelle pieghe del mercato quotidiano.
“Il nostro quadro oligopolistico granulare produce fluttuazioni aggregate non trascurabili”, ricordano gli autori — una frase che sintetizza il nucleo della loro intuizione: i grandi cicli nascono spesso da scosse minuscole, ma distribuite ovunque.