Perché ci fissiamo sui temi divisivi?
Un partito che ha una sola ossessione. Due candidati che differiscono radicalmente su un tema, ma sono simili su tutto il resto. Un elettore che, anche se ha tutte le informazioni, finisce per concentrarsi solo su ciò che li divide. Non è solo un’impressione: secondo un nuovo modello teorico, è il nostro cervello a funzionare così. E la politica lo sa benissimo.
Nel paper A Model of Focusing in Political Choice (Journal of Politics), Salvatore Nunnari (Bocconi) e Jan Zapal (CERGE-EI) introducono una teoria che spiega come e perché gli elettori si concentrano in modo sproporzionato sui temi dove i candidati divergono di più. La conseguenza è una dinamica perversa: i politici finiscono per accentuare quelle differenze per attirare attenzione. Il risultato? Più polarizzazione, meno attenzione alle politiche condivise, e, paradossalmente, scelte meno razionali anche da parte degli elettori informati. “Il nostro modello parte da un’intuizione semplice: quando due candidati sono molto diversi su una questione e simili su altre, gli elettori finiscono per pesare enormemente la questione divisiva,” spiega Nunnari, professore associato di Economia. “Ma questo ha conseguenze profonde sull’offerta politica.”
Dalla teoria alla cronaca
Nelle elezioni presidenziali USA del 2016, Hillary Clinton e Donald Trump avevano posizioni opposte sull’Obamacare e sull’Accordo di Parigi, ma simili su altri temi come gli investimenti infrastrutturali o il TPP. Eppure, l’attenzione pubblica si è focalizzata quasi esclusivamente sui temi dove i due candidati apparivano più distanti .
Lo stesso vale per l’uso strategico dei media. Trump, osservano gli autori, è noto per aver usato Twitter come strumento di distrazione: quando la stampa aumentava la copertura sull’inchiesta Mueller, il presidente lanciava tweet su Cina, immigrazione o lavoro. Puntualmente, l’attenzione dei media si spostava .
Anche i militari, prosegue il paper, usano consapevolmente queste logiche di attenzione. Nel 2020, per influenzare le decisioni di Trump su come rispondere a un attacco iraniano, il Pentagono incluse deliberatamente l’opzione estrema di uccidere il generale Soleimani, sperando che apparisse così estrema da rendere accettabili opzioni più moderate . “Sia i politici che le istituzioni capiscono che l’attenzione pubblica è distorta, e agiscono di conseguenza,” commenta Nunnari. “Quello che il nostro studio fa è modellizzare formalmente questo meccanismo, mostrando le sue implicazioni sistemiche.”
Partiti monotematici e attenzione rubata
Il modello spiega anche perché partiti senza possibilità di vittoria - come quelli monotematici sull’ambiente, sull’immigrazione o sull’antieuropeismo - riescano comunque a influenzare l’agenda politica. Non servono voti, basta entrare nel radar dell’attenzione pubblica. Questo genera un effetto domino: i partiti maggiori devono reagire, polarizzarsi, differenziarsi. “Nel nostro modello, i partiti minori agiscono come leve di attenzione: possono spostare il focus degli elettori verso un tema specifico,” spiega Nunnari. “E spesso è proprio quello che vogliono.”
Il paradosso della redistribuzione
La parte più controintuitiva dello studio riguarda la fiscalità. Analizzando il comportamento degli elettori rispetto a politiche redistributive, Nunnari e Zapal mostrano che, al crescere delle disuguaglianze, la domanda di redistribuzione può diminuire. Il motivo? Gli elettori ricchi, vedendo aumentare la differenza nel loro carico fiscale, tendono a focalizzarsi solo sul costo, ignorando i benefici collettivi. Gli elettori poveri, invece, sottovalutano quanto il beneficio per loro sia aumentato. Il risultato è una distorsione: l’attenzione non va dove servirebbe. E le politiche redistributive faticano a emergere, nonostante dati macroeconomici che ne giustificherebbero l’urgenza.
Una nuova lente per leggere la politica
Lo studio si inserisce nella nuova corrente della behavioral political economy, che integra nei modelli razionali i limiti cognitivi degli elettori. La teoria proposta da Nunnari e Zapal non solo aiuta a spiegare comportamenti elettorali apparentemente irrazionali, ma offre anche strumenti per interpretare le strategie comunicative dei leader politici. “Non basta chiedersi cosa pensano gli elettori. Dobbiamo chiederci anche dove stanno guardando e chi sta decidendo per loro dove guardare,” conclude Nunnari.