Una legge per tenere a bada il ceo
Il comportamento dei top executive è da sempre oggetto di indagine da parte degli studiosi. Tale interesse si è rinnovato nell'ultimo decennio, in conseguenza degli scandali societari che hanno coinvolto le più grandi imprese mondiali, tanto negli Stati Uniti quanto nel Vecchio Continente.
Molti studi hanno indicato nell'eccessiva concentrazione di potere da parte del ceo, e nei conseguenti fenomeni di opportunismo manageriale (in base alla cosiddetta teoria dell'agenzia), il motivo principale alla base di fenomeni quali performance aziendali inferiori alla media, estrazione di valore a danno degli azionisti di minoranza e falsificazione delle informazioni finanziarie al fine di mascherare potenziali rischi di default. Questi temi vanno necessariamente declinati con riferimento a un modello d'impresa e di assetto proprietario. Ad esempio la letteratura ha sottolineato come tali rischi siano nel modello americano la diretta conseguenza della separazione tra proprietà e management tipica delle public company. In tali circostanze, gli azionisti hanno un limitato potere di voto, i top executive assumono grande potere e il cda rischia di diventare un organo puramente formale. Nel nostro lavoro CEO-Board Relationships in a post-Sarbanes Oxley Era and the Moderating Effect of the Board of Directors abbiamo approfondito la relazione tra le caratteristiche del ceo (e il suo potere) e le performance aziendali. Parallelamente, abbiamo analizzato se e quanto i cda, e in particolare il numero e il tipo di consiglieri, possano arginare gli effetti negativi dell'eccessiva concentrazione di potere nelle mani del leader aziendale. Inoltre, il lavoro esplora in quale misura le relazioni sopra descritte siano mutate dopo l'emanazione nel 2002 del Sarbanes Oxley Act (Sox). Tale norma ha rappresentato un riferimento legislativo a livello mondiale in tema di corporate governance, trasparenza delle scritture contabili, e soprattutto di responsabilità degli attori aziendali, in primo luogo del ceo, rispetto a quanto dichiarato dall'azienda stessa ai mercati finanziari. Coerentemente con gli obiettivi della legge, la tesi del nostro lavoro è che essa abbia influenzato i comportamenti dei leader aziendali (i ceo, appunto) e dei loro controllori (i membri del board). A tale fine, abbiamo costruito un dataset relativo alle principali 500 aziende statunitensi (S&P500) con dati relativi al periodo 2000-2006 (tre anni prima e quattro anni dopo l'entrata in vigore della legge). I risultati delle analisi indicano un effettivo impatto della normativa sui comportamenti delle corporate elite aziendali. In primo luogo, i risultati mostrano una riduzione dei fenomeni di espropriazione del valore da parte del ceo a seguito dell'entrata in vigore nel 2003 del Sox. Inoltre, essi indicano un apparente cambio di atteggiamento da parte dei corporate director. In particolare, sia i consigli di amministrazione di dimensioni più grandi, sia soprattutto i consigli caratterizzati da una cospicua presenza di consiglieri aventi il ruolo di ceo in altre aziende (reputed director), svolgono un ruolo di controllo più stringente ed efficace nell'era post Sarbanes-Oxley. I consiglieri ceo, in particolare, essendo soggetti loro stessi alle richieste più puntuali della normativa nelle loro rispettive aziende, sembrano rappresentare un driver importante di disciplina del board e di maggiore responsabilizzazione e sensibilità verso la necessità di una buona corporate governance. Lo studio ha una serie di implicazioni sia teoriche che pratiche, contribuendo a rafforzare l'idea che gli assunti alla base della teoria dell'agenzia non possano essere universalistici, in quanto influenzati da un preciso schema di incentivi e di condizioni di contesto. Tra queste, si osserva come le richieste della normativa in tema di corporate governance, seppur spesso considerate un inutile appesantimento amministrativo, possano effettivamente indirizzare sia i comportamenti dei top executive, che quelli di chi è preposto al loro effettivo controllo.