Perche' il settore pubblico resiste. Alle riforme
Il ritratto tradizionale dei funzionari pubblici in Italia, come in molti altri paesi europei, è sempre stato quello di lavoratori non particolarmente efficienti (addirittura 'fannulloni'), pur godendo di un lavoro sicuro e di un sistema pensionistico particolarmente favorevole. Anche in Italia le riforme di management pubblico hanno cercato di modificare questo quadro fin dall'inizio degli anni '90: studiosi e addetti ai lavori, tuttavia, continuano a denunciare troppe inerzie nell'implementazione delle riforme interrogandosi su quali fattori possano incentivare una maggiore produttività e migliori performance nel settore pubblico.
Due studi pubblicati di recente su due importanti riviste accademiche che si occupano di pubblica amministrazione investigano questi temi. In Civil Service Reforms in Italy: The Importance of External Endorsement and Administrative Leadership (in Governance, Vol. 24, No. 2, aprile 2011, pp. 261–283, doi: 10.1111/j.1468-0491.2011.01524.x), Greta Nasi, Alex Turrini e Giovanni Valotti (Dipartimento di Analisi Istituzionale e Management Pubblico) con Daniela Cristofoli (Università di Lugano) si propongono di individuare le determinanti dell'inerzia nell'implementazione delle riforme dell'impiego pubblico in Italia. I quattro studiosi analizzano i dati relativi a 885 Comuni che avrebbero dovuto introdurre un sistema retributivo per la dirigenza maggiormente collegato alle performance da questi ottenute. Lo studio sottolinea il fatto che i leader politici (che possono aumentare la propria legittimazione derivante dall'implementazione di una riforma) e i city managersono i primi veicoli della promozione o del rallentamento dell'implementazione delle riforme amministrative del settore pubblico. In particolare, il caso italiano mostra che i city manager hanno spesso contrastato l'implementazione della riforma del sistema retributivo per la dirigenza locale. L'interpretazione che emerge da tale comportamento è duplice: o si sono comportati come "burocrati mascherati" (facendo resistenza di fronte alle riforme perché non volevano compromettere alcuni interessi costituiti) o come "manager consapevoli" (facendo saggiamente affidamento su quella parte di letteratura di management pubblico che mostra come gli incentivi monetari non siano così efficaci nel migliorare la performance individuale).
Il secondo studio, Coming Back Soon: Assessing the Determinants of Absenteeism in the Public Sector di Daniela Cristofoli, Alex Turrini e Giovanni Valotti (in Journal of Comparative Policy Analysis, Vol. 13, No. 1, pp. 75–89, febbraio 2011, doi: 10.1080/13876988.2011.538542), esplora invece come differenti fattori influenzino la produttività (misurata in termini di assenteismo) nel settore pubblico.La ricerca investiga se i tassi d'assenza al lavoro si modifichino in funzione di tratti personali dei dipendenti pubblici, delle caratteristiche organizzative delle amministrazioni pubbliche o del contesto in cui gli organismi pubblici operano. Lo studio si basa sui dati forniti alla Ragioneria dello Stato dalle stesse amministrazioni regionali e locali italiane. L'analisi mostra che in Italia fattori legati alla cultura politica (political culture) locale in cui opera un'amministrazione pubblica hanno una forte influenza sulle tendenze assenteistiche dei dipendenti pubblici. L'assenteismo (o bassa produttività) è perciò un fenomeno profondamente radicato e non dipende soltanto da circostanze che si possono facilmente gestire (coma la presenza di meccanismi di controllo e supervisione o l'adozione di sistemi retributivi basati sui risultati), ma da condizioni strutturali, come lo status sociale ed economico delle donne nel territorio di riferimento, l'esistenza di standard culturali che impongono la presenza del lavoratore (indipendentemente dal grado di insoddisfazione di una persona per il proprio lavoro) invece di legittimare l'assenza come risposta all'insoddisfazione lavorativa. Le politiche nei riguardi dei dipendenti pubblici (che hanno il solo scopo di modificare le regole di protezione del lavoro per ridurre gli incentivi individuali all'assenteismo) possono dunque essere inefficaci: dovrebbero invece essere accompagnate da importanti azioni di policy che promuovano il cambiamento culturale, un maggior controllo sulle amministrazioni pubbliche da parte dei cittadini, un maggiore senso di appartenenza (o "orgoglio"') tra i dipendenti pubblici. Anche in questo caso, in altre parole, culture matters.