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Le parole di un brand memorabile

, di Fabio Todesco
Le definizioni che mettono a fuoco i lineamenti della nuova disciplina del branding, le vicende e le citazioni che aiutano a comprenderla nell’elegante “Glossario del brand” a cura di Interbrand

Jeff Swystun (a cura di)
Il glossario del brand
Termini, significati e usi

Egea, 2007
150 pagine, 18 euro

L'americano medio, secondo la Newspaper association of America, è esposto ogni giorno a 1.500-3.000 messaggi legati ai brand. In Europa non dobbiamo essere molto distanti e anche qui, finalmente, il branding comincia a essere riconosciuto come una vera disciplina, coi suoi cultori, i suoi professionisti e i suoi fraintendimenti.

Arriva, perciò, anche in Italia in una veste grafica elegantissima, Il glossario del brand. Termini, significati e usi, a cura di Jeff Swystun (Egea, 2007, 150 pagine, 18 euro), un'opera di consultazione molto focalizzata, utile a districarsi tra concetti nuovi e termini quasi sempre mutuati dall'inglese, ma anche un libro bello da sfogliare, con una personalità grafica e concettuale fortissima, creata da Interbrand, la nota società di consulenza di branding.

Parallelamente alle definizioni scorre, nel libro, una seconda vena di interesse, costituita dalle citazioni e dai "brand fact", le curiosità legate a questo mondo professionale che, affiancandosi ai numerosi esempi che illustrano i lemmi, rendono coinvolgente la lettura. Veniamo così a sapere che, a proposito dei vantaggi economici di un brand forte, uno slogan della famiglia Gucci recita che "la qualità continua a essere ricordata molto dopo che il prezzo è stato dimenticato", o che George Bull (Grand Metropolitan), auspicabilmente non nel corso di una sfuriata ai suoi, ha detto che "i brand ben gestiti non muoiono, a differenza dei cattivi brand manager". Un buon processo di branding dovrebbe aiutare i clienti a orientarsi, e i marchi a farsi notare, nella giungla di 25.000 prodotti che popola il supermercato medio ed evitare che si sviluppino associazioni negative, come quelle di cui è vittima la dicitura "made in China" che, secondo il 79% dei brand manager, danneggerebbe i prodotti cinesi perché legata alle idee di basso prezzo, scarso valore e scarsa qualità.

Il volume ha ricevuto l'apprezzamento preventivo di alcuni top manager italiani tra cui Alessandro Profumo (UniCredit), Vittorio Merloni (Indesit) e Francesco Trapani (Bulgari).

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