In caso di fusione, chiedi consiglio ad un amico
I servizi di consulenza su fusioni e acquisizioni generano un notevole volume di ricavi per le banche d'affari. Le prime tre banche advisor (Goldman Sachs, J.P. Morgan e Citi) hanno infatti gestito transazioni per oltre €1.000 miliardi, incassando commissioni per circa €3 miliardi nel 2008. Una ricerca del Carefin Bocconi (Centro per la ricerca applicata in finanza) suggerisce che i loro servizi producono valore però anche per le imprese clienti e se un'impresa sceglie un advisor col quale ha una forte relazione, il valore delle sue azioni si apprezzerà.
Nel paper, Gianfranco Forte, Giuliano Iannotta e Marco Navone analizzano infatti i fattori che influenzano la scelta dell'advisor finanziario nelle operazioni di fusione e gli effetti che tale scelta ha sul valore delle imprese clienti. Utilizzando dati su 473 operazioni realizzate in Europa nel periodo 1994–2003, i ricercatori del Carefin hanno documentato che la scelta di un'impresa di ricorrere ad una determinata banca è fortemente influenzata dall'intensità della relazione banca-impresa. Tale intensità è misurata in base al volume di transazioni finanziarie (altre operazioni di fusione o acquisizione, prestiti, emissioni obbligazionarie, etc.) che l'impresa ha già realizzato con una data banca nei cinque anni precedenti la fusione.
Le banche d'affari sono specialiste nella produzione di informazione; quando agiscono come consulenti nelle operazioni di fusione, esse utilizzano questa capacità per determinare il valore delle sinergie, i rischi della transazione, ecc., fissando infine il prezzo corretto. Dunque, se stabilisce una prolungata relazione con l'impresa, una banca ottiene maggiori informazioni sulla sua attività, che possono essere utili per valutare la bontà di una fusione. In effetti, se il ruolo dell'advisor finanziario in una fusione è quello di produrre informazione, allora la scelta di rivolgersi alla banca con la quale si ha una più forte relazione (la "relationship bank") appare molto logica, visto che tale relazione consente alla banca maggiormente informata di fornire un servizio migliore.
Tuttavia, è anche possibile che le imprese siano in qualche modo "intrappolate" nella relazione con la banca: in altri termini, proprio grazie alla relazione, la banca può influenzare l'impresa, aumentando la probabilità di ottenere un mandato, senza che il servizio sia necessariamente migliore. "Quando abbiamo bisogno di un consiglio, chiediamo ad un amico, perché sappiamo che ci conosce bene", dice Iannotta. "Tuttavia, questo non significa che sarà il miglior consiglio possibile".
Peraltro in questo caso si tratta di un consiglio cruciale, perché una fusione è un po' come un matrimonio.
Per comprendere se davvero una forte relazione produce benefici, i ricercatori del Carefin hanno esaminato i prezzi di borsa delle imprese coinvolte nelle fusioni. Se le relazioni tra banca e impresa migliorano la qualità del servizio offerto dall'advisor, allora tanto più intensa è la relazione tanto più dovrebbe crescere il valore dell'impresa cliente. In effetti, la ricerca mostra proprio che all'annuncio di una operazione di fusione, ad una più forte relazione con la banca advisor corrisponde un significativo aumento del corso azionario dell'impresa cliente.
In effetti, quando un'azienda coinvolta in fusioni o acquisizioni annuncia di avere assunto un advisor, il rendimento delle sue azioni è di circa lo 0,4% più alto (ad es., 1,4% contro 1,0%) se l'advisor ha una forte relazione con l'azienda stessa. Per quanto uno 0,4% possa sembrare poca cosa, questa percentuale corrisponde grosso modo alla commissione per i servizi di consulenza delle banche d'affari: è un po' come dire che l'impresa ottiene la consulenza gratis, perché la commissione pagata alla banca è compensata dall'incremento nel valore delle azioni. "Sembra che il consiglio di un amico sia davvero il migliore, quantomeno nelle operazioni di fusione," conclude Iannotta.