Sport e impresa, i segreti della leadership
Che cos'è un leader, quali caratteristiche deve avere e, in particolare, in che cosa consiste la leadership in una grande azienda o in un team sportivo? Quali differenze e quali affinità? Un tema complesso e affascinante che ha catturato l'attenzione dei presenti all'incontro "Fare squadra per competere: le sfide del management italiano", organizzato dalla Divisione Ricerche "Claudio Demattè" della SDA Bocconi, giovedì 7 aprile, in aula Perego dell'Università. Presenti, tra i relatori, moderati dal vicedirettore de Il Mondo, Fabio De Rossi, i professori della Bocconi e della SDA, Paolo Guenzi e Dino Ruta, autori del volume, edito da Egea, Team Leadership: idee e azioni tra sport e management, Massimiliano Moi, ad Unicredit Leasing, Gian Paolo Tagliavia, ad MTV Italia, e Gianluca Vialli, stella della Sampdoria e della Juventus con esperienze di allenatore-manager in Inghilterra.
Ruta, Vialli e Guenzi |
E proprio il lavoro di Guenzi e Ruta costituisce il punto di partenza della discussione, "un libro frutto di quattro anni di lavoro realizzato anche con il contributo di 50 allenatori di sport diversi e contributi di manager. Abbiamo cercato di capire se il modello di leadership tipico di un'azienda possa essere esportato nello sport e viceversa", dice Guenzi, "tenendo anche conto delle differenze tra i vari sport, quelli più prettamente di squadra e quelli invece individuali che solo occasionalmente diventano di squadra"."Un team leader ha l'onere e l'onore di conquistare credibilità all'interno del suo 'spogliatoio' ma anche al di fuori, e lo fa attraverso le sue capacità di negoziazione e di gestione delle relazioni", aggiunge Ruta, "in fondo tutti siamo dei leader in potenza, abbiamo la capacità di influenzare gli altri. Dobbiamo solo allenare questa capacità".
Realizzare un vero team, però, sia che si parli di sport che di azienda, è tutt'altro che facile. Consuetudini e personalismi sono alcuni degli ostacoli da rimuovere. "La leadership per me è la capacità di passare dalla strategia ai risultati attraverso le persone, ma farlo è un'operazione complessa. Io dirigo 3 mila persone in 17 paesi, che quando sono arrivato non costituivano un vero team. Per arrivarci ho dovuto fare interventi diretti sulle persone, cambiarne i comportamenti anche sulle piccole cose. Un esempio? Ho praticamente vietato l'uso dell'email, che è un ostacolo al dialogo; le persone devono parlarsi, solo così si riesce ad avere un obiettivo comune e costituire un team".
"La differenza tra calciatore e allenatore è un po' quella che c'è tra attore e regista e in entrambi i casi ci sono attori/calciatori diventati registi/allenatori. Un allenatore deve porsi, insieme alla società, degli obiettivi ambiziosi ma realistici, e poi lavorare per ottenerli esercitando la propria leadership", dice Vialli, "attraverso un'opportuna strategia. La prima cosa che ritengo importante è la scelta degli 'uomini', prima ancora che dei calciatori. Ognuno dei miei calciatori deve capire che nessun individuo è più importante della squadra, e questo è molto difficile adesso che ogni calciatore importante è una piccola azienda, con la sua immagine e il suo indotto da coltivare". Problema non solo del calcio, spiega Gian Paolo Tagliavia, "visto che anche in un'azienda come MTV, dove i protagonisti sono volti noti, c'è la tendenza a sentirsi l'ombelico del mondo".
Il manager ha grande potere ma anche grandi responsabilità, per questo, per Vialli, è importante una carriera come la sua, da calciatore a calciatore-allenatore e quindi manager tipico del modello inglese: "Impari a valutare le cose da ogni angolazione e a capire meglio i giocatori quando diventi il loro capo. Impari anche a diventare un po' psicologo". A tal proposito Vialli racconta un aneddoto: "Avevo l'abitudine di analizzare le partite con i miei giocatori. Iniziavo quindi la mia disamina invitandoli a esprimere il loro punto di vista e mi ero accorto che qualunque cosa dicessi erano d'accordo con me. Lo dissi a Mourinho, succede anche a te?, gli chiesi". "No", la risposta del portoghese. "E come fai?" ho insistito. "Hai mai provato a parlare per ultimo?".