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Artigiano e digitale: il mio Valentino e' cosi'

, di Allegra Gallizia
Stefano Sassi, alumnus dell'anno, e' l'artefice e lo stratega del rinnovato successo del marchio piu' iconico dell'alta moda. La sfida vinta: rinnovarsi restando fedeli a se stessi

Alumnus Bocconi dell'anno 2016, Stefano Sassi è da dieci anni amministratore delegato di Valentino, il marchio di alta moda fondato nel 1960 da Valentino Garavani. L'azienda, dopo essere stata di proprietà del gruppo Marzotto e del fondo di private equity Permira, dal 2012 è controllata da Mayhoola, veicolo di investimento della famiglia reale del Qatar. Le scelte strategiche che Stefano Sassi ha portato avanti hanno dato una nuova linfa alla maison che ha chiuso il 2016 con un fatturato di 1.100 milioni di euro, tornando a essere un'eccellenza del fashion system.

Dalla famiglia Marzotto all'acquisizione di Mayhoola, lei ha accompagnato il brand Valentino in un delicato passaggio.
Quel momento ha rappresentato un cambiamento sostanziale che si è sommato ad altri due eventi rilevanti: l'uscita nel 2007 di Valentino Garavani e, contemporaneamente, una delle più importanti crisi economico finanziarie degli ultimi decenni che ha ridotto significativamente i consumi del lusso.
Ha dovuto affrontare molte sfide.
A fronte di un'ampia riconoscibilità del marchio a livello internazionale, le dimensioni di business erano molto limitate rispetto ai competitor. In quegli anni siamo riusciti a gettare le basi per ciò che si è poi rivelato un successo.
In che modo?
Le ricette preconfezionate non esistono, è necessaria un'analisi attenta delle caratteristiche competitive e organizzative del marchio. I valori su cui era stato costruito Valentino e il sogno che trasmetteva erano un punto di partenza straordinario ma bisognava rendere il brand contemporaneo, per evolvere verso una nuova e più ampia fascia di consumatori.
Come si rinnova un marchio iconico senza snaturarlo?
È stato un lavoro complesso perché era importante restare fedeli al percepito di Valentino. Così, abbiamo preservato i valori estetici di femminilità e bellezza senza tempo, creando uno stile diverso: fedele al dna della maison ma molto contemporaneo, destinato a un target totalmente nuovo per il brand. La nostra haute couture, sintesi di una capacità artigianale unica, è rimasta il punto di riferimento di tutto questo processo di rinnovamento.
Il talento creativo e l'intelligenza strategica sono stati complementari?
Entrambi sono stati fondamentali per reinterpretare il brand. Abbiamo lavorato con particolare attenzione su alcuni aspetti: stile, prodotto, product e visual merchandising, store concept e network, comunicazione e struttura commerciale, in questo modo è stato possibile portare tale messaggio in maniera forte e chiara all'esterno, ai consumatori.
In pratica, quali cambiamenti sono stati apportati?
Dal punto di vista organizzativo abbiamo rivoluzionato Valentino, introducendo figure tecniche all'interno del prodotto, definendo nuove competenze di merchandising e retail. Abbiamo rivisto i processi e messo a punto strumenti di controllo e gestione in tutte le aree chiave. L'azienda è cambiata radicalmente: un tempo, per esempio, non sapevamo quali fossero i nostri clienti, oggi invece attraverso il Crm (Customer Relationship Management) abbiamo tracciato il 95% degli acquisti dei nostri consumatori a livello retail. In questo modo abbiamo molte più informazioni su di loro: età, nazionalità, caratteristiche e flussi. Questo sistema ci consente di aprire un dialogo diretto con ogni cliente creando una relazione one-to-one.
Dal ready-to-wear agli accessori: oggi Valentino è un'azienda completa.
Abbiamo avviato delle joint venture che ci consentissero di avere il controllo di tutte le categorie di prodotto; oggi gli accessori costituiscono più del 50% del fatturato poiché sono più accessibili dal punto di vista di prezzo. Questo ci ha permesso di ampliare notevolmente il mercato e registrare in otto anni un incremento esponenziale del fatturato: siamo passati da 200 milioni di euro a 1.100 milioni di euro, con una crescita nel 2016 superiore al 10%.
Il vostro sviluppo retail è stato più calmierato rispetto a molti brand del lusso. Perché?
Attualmente abbiamo 170 negozi nel mondo. Dal 2012 ci sono state numerose aperture di nuovi punti vendita nelle piazze più importanti. Rispetto ad altri competitor c'era un gap da colmare ma prima di tutto dovevamo lavorare sulla nuova identità del brand, sul prodotto e sull'organizzazione e poi darle la giusta visibilità. La nostra volontà rimane comunque quella di avere un marchio esclusivo, con un posizionamento ben preciso e con un giusto network retail, senza over distribution.
Come gestite le esigenze specifiche dei mercati in cui siete presenti?
Valentino ha una connotazione internazionale e la stessa collezione viene proposta nelle diverse aree geografiche. Chi compra Valentino vuole vivere un'esperienza del marchio in cui il valore aggiunto è dato dal linguaggio dello stile. Le personalizzazioni vengono fatte unicamente a livello di buying.
Lo sviluppo della distribuzione ha coinvolto anche la supply chain?
Si è trattato di un processo dovuto. La supply chain è stata potenziata con piattaforme logistiche posizionate nei diversi continenti che ci consentono di integrare la distribuzione on line e il network di negozi fisici. Grazie ai supporti digitali si possono visionare i prodotti, fare acquisti on line e ritirare anche in store, verificare la disponibilità di un capo e farlo arrivare in una determinata città. In questo modo non esiste più confine tra on line e off line: è tutto perfettamente integrato.
Cosa rappresenta il digitale?
Il digitale è talmente articolato da offrire infinite possibilità di servizio, comunicazione e intrattenimento: è diventato uno strumento così pervasivo che la vera questione è capire come integrare tutti questi suoi aspetti. Il digitale ha portato grandi cambiamenti, fra cui l'opportunità di offrire un'esperienza totalizzante del brand. Questo è un nuovo modo di lavorare che coinvolge l'e-commerce istituzionale dell'azienda e quello di wholesaler come Yoox, Net-à-Porter, My Theresa e Luisa Via Roma (per citarne solo alcuni), i social media, il retail e l'omnichannel.
Che investimenti avete fatto in questo campo?
Per poter comprendere e gestire un canale così articolato, gli investimenti sono stati moltissimi sia a livello di tecnologie che di risorse.
La velocità del digitale è in contraddizione con una moda artigianale che ha bisogno di tempi lunghi?
Per offrire qualità, creatività, ricchezza è fondamentale rispettare i tempi necessari all'ideazione, sviluppo e realizzazione delle collezioni. Essenziale è poi la tempestività dei servizi quando il prodotto è in store.
Il successo di un lavoro tanto complesso è stato accreditato anche dal riconoscimento Alumnus Bocconi dell'anno...
È la prima volta che questo importante riconoscimento viene dato all'industria della moda, un saper fare tipicamente italiano che va valorizzato perché svolge un ruolo fondamentale all'interno dell'economia del nostro paese. Mi onora molto averlo ricevuto. Mi auguro che tutto questo possa favorire una maggiore presenza del fashion system italiano all'interno di percorsi accademici specifici.