I rom: integrazione o discriminazione?
Già tremila anni fa il Dio dell'Antico Testamento ingiungeva solennemente: "Lo straniero dimorante con voi deve essere per voi uguale ad un vostro indigeno e amerai per lui quello che ami per te; poichè anche voi siete stati stranieri nella terra d'Egitto" (Levitico 19,34; Deutronomio 10,18).
Il diritto delle genti dei nostri giorni e i principi dello stato di diritto che sono patrimonio comune europeo non pretendono l'amore per lo straniero, si limitano a prescrivere uguaglianza nei diritti fondamentali e non discriminazione nel trattamento da parte dei pubblici poteri. Se poi si tratta di cittadini dello Stato, come è il caso di molti rom, questi principi non soffrono alcuna limitazione. In ogni caso, come proclama la Carta europea dei diritti fondamentali approvata dall'Unione europea a Nizza a fine 2000, sono vietate in conformità ad una lunga serie di strumenti internazionali "qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali".
Per quanto riguarda le minoranze nazionali ed etniche (e quella rom è la più numerosa nell'Europa a 27) le nostre nazioni si sono impegnate a livello internazionale non solo a vietare le discriminazioni legali ma a promuovere una politica attiva d'integrazione, rimuovendo con azioni positive gli impedimenti di fatto alla piena eguaglianza basati su pregiudizi culturali e ostacoli economici e sociali. Se, come purtroppo sembra avvenire in Italia, l'ostilità al diverso, sia esso il rom, l'islamico o lo straniero non integrato in genere, cresce in proporzioneal loro numero ed alla loro visibilità nella società (il razzismo sottopelle di tanti "italiani brava gente"), spetta alle autorità contrastare il fenomeno e favorire l'integrazione.
Non sembra che a questi principi si sia ispirato negli ultimi mesi il nostro governo. Non stupiscono quindi le rimostranze della Commissione europea, cui spetta vigilare sul rispetto del principio di no discriminazione di cui all'art.13 del Trattato di Roma, e le risoluzioni dell'Europarlamento in particolare contro la raccolta delle impronte digitali ai piccoli rom.
Si obietta che si tratta di azioni volte a contrastare una specifica forma di delinquenza, o ancora che si tratta di misure volte a proteggere questi minori, in particolare dalle famiglie che li avviano all'accattonaggio. La sicurezza dei cittadini è naturalmente compito primario degli Stati. Se le anagrafi comunali non sono in grado o non si curano di registrare le famiglie rom ben venga la polizia ad assistere gli ufficiali di stato civile nei loro compiti. Se d'altra parte vi sono fenomeni di delinquenza che hanno come prime vittime quei bambini, la legge e la stessa Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989 riconosce la facoltà dell'allontanamento dalla famiglia sotto il controllo giudiziario. In ogni caso è l'interesse del minore che deve essere il primo obiettivo.
Non sembra che questi siano stati i criteri direttivi dell'azione di polizia mirata a prendere le impronte digitali dei minori rom; un'azione che nel selezionare questi soggetti indifesi, per scopi non chiariti e non protettivi, con una misura che non viene applicata in Italia a fini identificativi in genere, nella specie imposta addirittura anche a cittadini italiani, a prescindere da qualunque reato commesso o comportamento personale, risulta di per sé sproporzionata e discriminatoria.
Sono ben altri gli standard che dall'Italia ci si attende, se il nostro paese vuole svolgere in Europa un ruolo propositivo, nell'interesse proprio e in quello comune in conformità alle nostre tradizioni migliori.