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Dimentichiamoci i burocrati

, di Andrea Celauro
La riforma della p.a. è un processo lungo, ma non può terminare se i dirigenti non si trasformano in manager. Ne discutono a Economia e società aperta, giovedì 25 marzo in Sala Buzzati, Podda, Sala e Valotti

La pubblica amministrazione sta cambiando faccia, ma la trasformazione è lenta e difficile. E un anello fondamentale di questo cambiamento, sottolinea Giovanni Valotti, ordinario Bocconi di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, "è rappresentato dalla dirigenza". Della centralità della metamorfosi della figura del dirigente pubblico e delle necessità di portare a termine una trasformazione delle pubbliche amministrazioni che stenta a concludersi si discuterà giovedì 25 marzo presso la Sala Buzzati del Corriere della Sera in "da burocrati a manager: una riforma a metà?", quarto incontro di Economia e società aperta. Sul palco con Valotti, moderati da Sergio Rizzo, il segretario generale della Funzione pubblica Cgil nazionale, Carlo Podda, e Giuseppe Sala, direttore generale del Comune di Milano.

Oggi, i dirigenti pubblici italiani sono 15 mila, con una media di 7,8 dirigenti ogni 100 dipendenti nelle regioni, 6,8 nei ministeri, 4,2 nei comuni e 3,3 nelle province. Una dirigenza che è in prevalenza maschile, sebbene il tasso di femminilizzazione sia circa il triplo che nel settore privato. Le dirigenti sono più numerose nei ministeri (31%), meno nelle province (23%). L'età media del vertice del settore pubblico supera i 50 anni, mentre la retribuzione media va dai 75 mila euro dei dirigenti comunali ai circa 100 mila dei dirigenti ministeriali. "Sono cambiate molte cose da quando, alla fine degli anni Ottanta, è iniziato il processo di trasformazione della dirigenza pubblica", spiega Valotti. Diversi gli aspetti che sono andati migliorando negli anni: "Il numero dei dirigenti si è ridotto attraverso un'attenta gestione del turnover, anche se permangono forti, a volte inaccettabili, squilibri territoriali, mentre la formalizzazione delle decisioni è passata in molti casi dalla politica alla dirigenza. I ruoli di direzione sono poi stati spesso ridisegnati e il meccanismo degli incarichi temporanei ha sostituito la tradizionale stabilità delle funzioni. Inoltre, le retribuzioni si sono sostanzialmente allineate a quelle del settore privato". Rimangono tuttavia alcuni nodi irrisolti, sui quali è necessario battere se si vuole portare a termine questa evoluzione del dirigente pubblico in public manager. Tra questi, due in particolare. "Il rapporto tra la funzione di indirizzo politico e la responsabilità gestionale, che forse sarà un tema che ci accompagnerà ancora a lungo. E poi i contenuti di lavoro: molti dirigenti oggi, semplicemente non fanno i dirigenti, cioè non definiscono priorità, non dettano tempi, non responsabilizzano i collaboratori, non verificano lo stato degli obiettivi". Insomma, la pubblica amministrazione del futuro chiede manager in grado di dare la direzione. A questo punto la domanda è, commenta Valotti: "Ci siamo lasciati alle spalle la figura tradizionale del burocrate, tutto norme, regole e procedure?"