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Alla genesi della Bocconi

Ferdinando Bocconi incarnava la figura dell'imprenditore milanese fin de siècle. Da ormai molti lustri operatore infaticabile, faceva parte di una élite culturale milanese che sempre più presentava la diffusa convinzione che un vero e solido progresso economico si sarebbe potuto realizzare solo mediante una riqualificazione del lavoro, o meglio del capitale-lavoro, congiuntamente ad un affinamento culturale e professionale dell'imprenditore. Come dire che codesto establishment ambrosiano si rendeva ben conto che, nella strategia dello sviluppo economico, il capitale umano esplica una funzione essenziale. La scomparsa di Luigi, nel corso della battaglia di Abba Garima, instillando in Ferdinando l'idea di rendere immortale la memoria del figlio probabilmente concorse semplicemente ad affrettare la realizzazione di programmi verso i quali da tempo si stava indirizzando l'élite culturale milanese. In questo senso l'idea di Ferdinando Bocconi di creare una Scuola Superiore di Commercio da aggregarsi al Politecnico veniva a soddisfare una duplice esigenza: quella di dotare gli ingegneri di una solida base commerciale e quella di promuovere socialmente i ragionieri attraverso un diploma universitario. Il modello ispiratore del corso di studi immaginato da Ernesto De Angeli era quello della vecchia e gloriosa École Supérieure di Anversa.

La creazione di una scuola commerciale aggregata al Politecnico pareva già cosa conclusa - prova ne sia che il comitato ordinatore aveva nominato alla direzione della stessa Maffeo Pantaleoni e aveva deciso l'inizio dei corsi nel novembre 1899 - quando tutta una serie di contrasti di ordine ideologico spinsero Pantaleoni alle dimissioni e Ferdinando Bocconi ad abbandonare l'idea di legare i destini della sua 'facoltà commerciale' all'Istituto Tecnico Superiore. Dietro questa scelta si rifletteva il mutato clima politico milanese, frutto delle tragiche giornate del '98, che spinse il Bocconi ad avvicinarsi ad Angelo Salmoiraghi e far propria l'ipotesi di Leopoldo Sabbatini, segretario della Camera di Commercio milanese, di dar vita ad una vera e propria 'Università commerciale'. La nuova opzione non era casuale ma corrispondeva ad un disegno di carattere politico-culturale volto alla formazione e alla legittimazione del ceto imprenditoriale come classe dirigente, in quanto espressione di una nuova 'aristocrazia' del lavoro e del sapere. I fondatori si proponevano di fornire al mondo dell'impresa e delle professioni una schiera di esperti e operatori qualificati, in base a criteri selettivi rigorosi e ad un tirocinio altrettanto severo, e anche di porre le basi di una generale revisione dei rapporti di forza e dei ruoli di comando ai vertici del sistema economico e sociale.

Leopoldo Sabbatini, voluto da Bocconi alla presidenza del consiglio direttivo bocconiano, dotato di grandi capacità organizzative, aveva promosso per l'Università una vera e propria campagna promozionale, facendo pervenire agli organi di stampa, alle segreterie delle Camere di Commercio di tutt'Italia e di altre istituzioni economiche e culturali, probabilmente anche estere, un opuscolo che, oltre ad illustrare sotto diversi profili il nascente Ateneo, faceva appello alla generosità dei destinatari, perché la provvida iniziativa di Ferdinando Bocconi fosse opportunamente sostenuta, in primis coll'istituzione di borse di studio per i giovani meno abbienti.

"Egli sentiva - si è scritto a questo proposito - che il destino di ciascun giovane uscito dalle mura e dai banchi di scuola non gli era indifferente, ma ciascuno doveva - occorrendo con il suo concorso e con il sussidio della conoscenza specifica che egli ne aveva - essere collocato al suo giusto posto e non soltanto nell'interesse di lui ma anche per la formazione di quell'esercito destinato a combattere le battaglie dell'economia nazionale in tutte le piazze dell'Italia e del mondo. (...) L'università non doveva soltanto insegnare, ma assumere la tutela del giovane: quel concetto della scuola per cui tutto si esaurisce nella funzione didattica, e questa a sua volta immiserisce nel culto del metodo, perdendo di vista i fini più vitali della scienza, quel concetto egualmente gretto ed egualmente misero della pratica doveva essere assente da questa scuola. Il giovane che si iscriveva in essa non vi dimorava che quattro anni per rendersi poi ad essa totalmente estraneo, ma doveva sentirvisi legato per tutta la vita."

(Discorso celebrativo del Dott. Carlo Alessandro Croccolo, Presidente ALUB, Celebrazione Cinquantenario, Milano, 1956, pag.54)



Ultimo aggiornamento 15/09/2020 - 14:48:26