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"Tutto chiacchiere e CSR"

, di Fabio Todesco
Maurizio Zollo osserva che le azioni meramente simboliche di CSR vengono più facilmente smascherate quando gli stakeholder non ricevono risorse dall'impresa o sono specialisti con una competenza approfondita di un singolo aspetto

Le preoccupazioni di immagine spingono le imprese a dichiarare la propria adesione a politiche socialmente responsabili, ma troppo spesso alle dichiarazioni non segue nessuna azione effettiva. The Eye of the Beholder: When Symbolic Actions Fail in the Context of Corporate Social Responsibility, CROMA Working Paper 10/007, di Maurizio Zollo (Dipartimento di Management e Tecnologia), Donal Crilly (London Business School) e Morten Hansen (INSEAD), riserva cattive notizie ai fautori degli interventi di facciata: gli stakeholder, sostengono i tre studiosi, sanno distinguere le imprese le cui dichiarazioni di CSR sono incoerenti con le pratiche effettive (decouplers) da quelle che le integrano coerentemente (integrators). Inoltre sono importanti le caratteristiche degli stakeholder: le organizzazioni che non ricevono risorse dall'impresa e gli specialisti che curano un singolo aspetto della CSR hanno maggiori probabilità di distinguere il grano dal loglio.

Gli autori, nell'ambito del Progetto RESPONSE, hanno selezionato 11 imprese in 5 settori industriali, 6 delle quali incoerenti e 5 coerenti secondo la valutazione della performance sociale realizzata da tre agenzie di rating sociale; hanno poi intervistato 112 senior executive di queste imprese e 138 stakeholder e hanno consultato dati d'archivio per confermare la valutazione delle agenzie e per capire quali aspetti possono influenzare il giudizio degli stakeholder.

Osservano che complessivamente gli stakeholder danno un giudizio significativamente inferiore della performance sociale delle imprese incoerenti che di quelle coerenti (1,4 punti in meno su una scala 0-10), ma che stakeholder diversi si comportano in modo diverso. Mentre le valutazioni sulle imprese coerenti non cambiano a seconda degli stakeholder, c'è invece parecchia variabilità nei giudizi sulle imprese incoerenti, il che suggerisce che alcuni stakeholder siano incapaci di osservare la divergenza tra dichiarazioni e comportamento. "L'analisi delle nostre interviste agli stakeholder", scrivono Zollo e i suoi colleghi, "suggerisce due aspetti su cui basare una distinzione tra gli stakeholder: la natura della loro relazione con l'impresa in questione e la loro capacità di vedere oltre la cortina elevata dalle imprese incoerenti".

Gli studiosi osservano che gli stakeholder "che si giocano parecchio" nella relazione con un'impresa incoerente (che ricevono, cioè, risorse da essa) valutano positivamente la sua performance indipendentemente dall'effettiva implementazione. In media, chi riceve risorse valuta le imprese più generosamente di oltre un punto nella scala 1-10.

Gli stakeholder con esperienza e attenzione focalizzate su un singolo aspetto (i diritti dei lavoratori, l'ambiente o qualsiasi altra cosa) dimostrano una superiore capacità di accesso e interpretazione di dati specializzati e, dunque, una maggiore capacità di interpretare le pratiche organizzative. "Non danno una valutazione severa di tutte le imprese, ma discriminano tra quelle coerenti e quelle incoerenti", dicono i tre studiosi. In media, valutano le imprese incoerenti con 1,5 punti in meno sulla scala 0-10.

I risultati dello studio si discostano da quelli di lavori precedenti, circoscritti agli stakeholder finanziari. La comunità finanziaria tende a dare credito alle imprese che annunciano l'adozione di piani d'incentivazione a lungo termine o il riacquisto di azioni proprie anche quando non segue nessuna implementazione, mentre gli stakeholder che si occupano di CSR, il cui ruolo è cruciale nel processo di costruzione dell'immagine aziendale, sembrano più difficili da ingannare.