Territori al centro
Dopo Torino 2006, il grande entusiasmo per l'Expo del 2015 ha riportato alla ribalta dei media il ruolo dei mega-eventi come strumento di marketing territoriale: grandi finanziamenti pubblici, interventi infrastrutturali di ampio respiro, elevata visibilità mediatica e impatti economici ingenti. Minor notorietà hanno invece, al di fuori degli addetti ai lavori, i grandi eventi b2b che vengono spesso vissuti dalle imprese partecipanti come vere e proprie olimpiadi dei settori di riferimento. Si tratta per esempio delle manifestazioni fieristiche internazionali un po' in tutti i settori manifatturieri, delle grandi conferenze nel campo dell'innovazione scientifica e tecnologica, delle fashion week nel caso della moda, dei festival nell'ambito dell'arte e della cultura. Tali eventi riuniscono nello stesso luogo i principali attori del mercato: fornitori, clienti, stampa specialistica, policy maker. In pochi giorni, le persone si incontrano e si scambiano idee e opinioni, si concludono trattative, si diffondono voci e pettegolezzi, le reputazioni si fanno e disfanno, e l'intero settore riflette insieme sulle sfide per il futuro.
Per l'importanza che rivestono, la letteratura organizzativa ha recentemente coniato per tali manifestazioni il termine di field-configuring event, che ne sottolinea la capacità di influenzare le traiettorie di sviluppo dei settori sottostanti. Sebbene la riflessione in materia sia ancora all'inizio, tali manifestazioni hanno, seppure in modo diverso dai mega-eventi, un'importante funzione di marketing territoriale, in quanto permettono la costituzione di veri e propri brand collettivi che rafforzano l'immagine del "made in" dei paesi ospitanti. Pensiamo alle fashion week milanesi, che pur includendo oggi molti stilisti stranieri, diffondono nel mondo l'immagine dell'Italia come capitale della moda, anche a beneficio delle numerose pmi del tessile-abbigliamento che, pur non prendendovi parte direttamente, beneficiano dell'effetto alone generato da tali eventi. Oppure al Salone del mobile, che da decenni crea un legame tra l'Italia e l'eccellenza nel design. E si potrebbero fare numerosi altri esempi nel campo dell'alimentazione, delle calzature, della gioielleria, della meccanica strumentale e della cultura.
Non tutti gli eventi si prestano però allo stesso modo alle strategie di marketing collettivo. In primo luogo, alcuni eventi sono, per così dire, cosmopoliti: nessun contingente nazionale predomina sugli altri e gli organizzatori non privilegiano in modo particolare le imprese del paese ospitante.
Finalità di marketing collettivo sono invece relativamente diffuse nelle manifestazioni controllate dalle associazioni imprenditoriali, come spesso succede in Italia e Francia. In secondo luogo, in molti comparti si assiste oggi a una proliferazione di manifestazioni, molte delle quali hanno rilevanza al più nazionale. Per esempio, le fashion week nel mondo sono oggi circa 60: fino a una decina d'anni fa erano meno di 20. Sono poche quelle realmente field-configuring: tipicamente, una-due per continente. Le gerarchie tra manifestazioni sono però dinamiche, e negli ultimi decenni si è assistito a numerose guerre tra manifestazioni per la supremazia all'interno del settore. Infine, nell'epoca della globalizzazione, la competizione tra eventi all'interno dello stesso paese genera disagi ai partecipanti esteri che si trovano a dover scegliere. In paesi dove la gerarchia urbana è più centralizzata (si pensi alla Francia con Parigi) le strategie di marketing territoriale riescono meglio. In paesi come il nostro, caratterizzato da molti campanili, non è rara la presenza di più manifestazioni che, sostenute dai distretti industriali locali, si fanno concorrenza diretta e si indeboliscono vicendevolmente. Il marketing collettivo richiede la capacità di concertare gli sforzi e decidere una location di accessibilità ottimale al di là degli interessi di parte. In caso contrario, si fa il gioco dei competitor stranieri, secondo il principio del terzo gode.