Marco Cattini, uno storico contro i termoinquinatori
Nel '700, con l'avvio dell'utilizzo delle risorse minerarie per produrre energia, si è determinata una svolta che ha cambiato il modo di intendere il rapporto tra uomini e ambiente. Allora, e sempre di più nei due secoli successivi, il mondo è diventato "un deposito di risorse da sfruttare", sostiene Marco Cattini, ordinario di storia economica all'Università Bocconi. "Ma queste risorse non sono infinite e l'economia, dopo l'avvento del marginalismo, sembra non rendersene conto. È una consapevolezza andata perduta, dopo che gli economisti classici avevano affrontato il problema, con il prevalere dello studio della scelta economica individuale secondo una concezione razionalista dell'uomo e dell'ottima utilizzazione delle risorse, prescindendo dal tempo e dallo spazio. Mi chiedo se il prezzo del petrolio di oggi tenga conto del fatto che si tratta di una risorsa destinata a esaurirsi".
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Marco Cattini |
È a partire da questa riflessione intellettuale, di cui si trovano ampie tracce nel suo L'Europa verso il mercato globale. Dal XIV al XXI secolo, i processi e le dinamiche (Egea, 2006, 310 pagine, 20 euro), che Cattini ha sviluppato una forma di ambientalismo che, negli ultimi anni, lo ha sempre più coinvolto, fino a farne il portavoce di "Modena salute e ambiente", un comitato che si oppone al raddoppio dell'inceneritore del capoluogo emiliano, dove vive. "Li chiamano termovalorizzatori", sostiene, "ma sarebbe più corretto dire termoinquinatori. Vengono accettati perché si cade in due trappole percettive. La prima è quella dell'invisibilità dell'inquinamento. I fumi emessi da questi impianti a più di 100 gradi di temperatura vengonosparati nell'atmosfera a 1.500-2.000 metri d'altezza. Le sostanze inquinanti, comprese polveri così sottili da non essere trattenute né dai filtri degli impianti, né dai filtri naturali che proteggono i nostri polmoni, ricadono ad ombrello entro un'area del raggio di molti chilometri. Paradossalmente, chi vive nei pressi degli impianti è come nell'occhio del ciclone e la sua salute corre meno rischi di chi abita o lavora entro una vastissima area circostante".
La seconda trappola è più sottile. "Si pensa che, con un inceneritore che crea energia bruciando rifiuti, si possa trarre ricchezza da sostanze che altrimenti andrebbero occultate nelle discariche. E invece il vantaggio è apparente, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche economico", sostiene ancora Cattini. "Dal punto di vista ambientale dopo l'incenerimento rimane da smaltire un volume di ceneri iperinquinanti che, trattate per solidificarle, rappresenta comunque il 30% dei rifiuti bruciati, mentre gli impianti utilizzano e surriscaldano grandi quantità di acqua, che viene poi reimmessa nelle falde. Dal punto di vista economico, la produzione di energia dai rifiuti è conveniente solo in ragione delle sovvenzioni pubbliche. Senza di esse sarebbe più costosa di quella tradizionale".
Dal semplice compattamento meccanico all'utilizzo di microrganismi che degradano i rifiuti umidi, le soluzioni alternative non mancano, come dimostrano esempi virtuosi in giro per il mondo. E tutti partono da una capillare raccolta differenziata, che può sottrarre allo smaltimento anche l'80% del materiale di scarto, come accade in Svezia. "Nel sistema californiano", dice il professore di storia, "i cittadini riescono addirittura a farsi pagare dalle imprese di riciclaggio per quanto riescono a differenziare. E si badi che Stati Uniti e Giappone, in passato le nazioni più entusiaste degli inceneritori, non ne costruiscono più da anni e stanno demolendo i più vecchi".
Cattini è convinto che manchi ancora la consapevolezza dei rischi della dipendenza dal petrolio ("è una risorsa finita, si esaurirà e non esistono ancora tecnologie alternative; lo stesso idrogeno, se dovesse funzionare, sostituirebbe il petrolio solo per poche applicazioni: non se ne ottiene la plastica") e della gravità dell'inquinamento.
"Misuriamo le pm10, ma difficilmente le polveri più sottili come quelle degli inceneritori", spiega, "non perché non siano nocive, anzi lo sono di più perché ci entrano direttamente nel sangue e nelle cellule, ma perché non sappiamo come farlo. E anche per le pm10 non siamo abbastanza determinati. L'Unione europea consente 35 giornate l'anno di superamento dei limiti (e di recente il parlamento europeo le ha portate sciaguratamente a 55!); ebbene, secondo i dati ufficiali di Arpa per l'anno 2004 a Milano si è oscillato fra 98 e 172 superamenti della media giornaliera ammessa come limite. Una recente indagine condotta su 13 città italiane con oltre 200 mila abitanti ha verificato che una morte su dieci degli ultra trentenni si deve agli effetti deleteri delle polveri sottili. Mentre tra gli scienziati cresce la consapevolezza della loro pericolosità, gli amministratori italiani se la cavano pagando le multe previste per gli sfondamenti".
Cattini è anche in grado di osservare le ragioni storiche della mentalità che spinge gli italiani a disinteressarsi del bene e della salute comune. "Siamo portatori inconsapevoli di mentalità contadine", dice, "perché quasi tutti i nostri bisnonni erano contadini, cioè famiglie autarchiche legate a un micro podere difeso a ogni costo, non agricoltori che producevano per il mercato come nel resto d'Europa occidentale. Da noi si pensava alla casa e al campo, trascurando quello che c'è di là dal proprio confine. Un'altra conseguenza tutta italiana di tale mentalità è il sovrinvestimento in case. Se si facessero per bene i conti si vedrebbe quali imponenti risorse, destinate all'edilizia civile, di fatto sono state sottratte allo sviluppo dell'economia e specialmente di quella industriale".