Marchi nuovi e conservatori
Non sempre essere giovane significa essere aperto all'innovazione. O almeno, così pare nel mondo della moda, quando i protagonisti sono i principali brand che sfilano sulle ambite passerelle di Milano e Parigi. È questo il sorprendente risultato che emerge dal progetto di ricerca che ci ha impegnato per anni, nell'intento di identificare i pattern di innovazione e l'influenza su di essi esercitata dagli opinion leader del mondo della stampa in uno dei settori per definizione meno codificato sotto il profilo delle dinamiche di sviluppo e lancio di nuovi prodotti: quello del fashion.
Il nostro lavoro ha abbracciato un arco temporale di dieci anni, a partire dal 1998 fino al 2008, e ha preso in esame tutte le collezioni sviluppate per ciascuna stagione di tali anni (primavera / estate e autunno / inverno) da parte di tutti i brand del prêt-à-porter che hanno totalizzato non più di cinque assenze nei calendari ufficiali delle sfilate forniti dalla Camera Nazionale della Moda di Milano e dalla Fedération Française de la Couture et du Prêt-à-porter di Parigi. Ne è scaturito un campione formato da 42 imprese, 22 presenti sulle passerelle italiane e 20 su quelle francesi. Di grande interesse i risultati emersi dall'analisi dei loro comportamenti innovativi, descritti nel paper Innovation Patterns in Global Fashion: Firms' Behavior and the Influence of Critical Audience Evaluation, presentato alla Conferenza della Strategic Management Society tenutasi a Roma a metà settembre. Per ciascuno dei brand considerati sono stati analizzati tutti i capi apparsi per ogni collezione nell'ambito delle rispettive campagne di comunicazione. Utilizzando una griglia composta da cinque parametri (taglio, colore, lunghezza, tessuto, decoro) ciascun capo è stato codificato e confrontato con l'analogo capo proposto nella stagione precedente, in modo da giungere a costruire un indice di innovazione per ciascun capo, per ciascuna collezione, per ciascun brand. La loro media ha quindi dato luogo a un indice di innovazione complessiva per stagione con riferimento a ciascun brand. Contemporaneamente, sono state raccolte tutte le recensioni prodotte a valle delle sfilate dagli opinion leader di settore su alcune fonti internazionali ritenute particolarmente autorevoli - International Herald Tribune, The New York Times, Wwd, Style.com - e sono state nuovamente codificate per giungere a un indice sintetico di valutazione su ciascuna collezione. L'analisi dei dati dimostra come il giudizio della critica indubbiamente influenzi i comportamenti innovativi delle imprese del settore. La direzione è, tuttavia, controintuitiva. È convinzione comune che le imprese con origini più datate abbiano anche una superiore reputazione da difendere e siano di conseguenza meno orientate all'innovazione, nell'intento di rafforzare la propria identità.In realtà, tuttavia, sembrano meno vincolati dal parere degli opinion leader e di conseguenza più orientati a innovare proprio quei marchi che vantano una storia maggiormente consolidata alle proprie spalle. Ciò sembra giustificarsi non solo con i minori vincoli finanziari che favoriscono la sperimentazione, ma anche con la necessità di perseguire una sorta di "obsolescenza pianificata" nell'intento di creare sempre nuovi bisogni nel proprio target di mercato più o meno fidelizzato.
Al contrario, i brand più giovani sembrano denotare comportamenti di rottura rispetto alle regole del gioco dominanti in fase di ingresso nel settore ma, una volta entrati, necessitano di consolidare la propria identità e riconoscibilità al di fuori della nicchia iniziale di estimatori. Proprio per questo subiscono maggiormente l'influenza del giudizio dell'audience rilevante, tendendo a ridurre la propensione all'innovazione da una stagione alla successiva nel momento in cui riescono a conquistare valutazioni positive da parte degli opinion leader.