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Che grana avere debiti con lo stato. O crediti

, di Massimo Occhiena - professore associato di diritto amministrativo alla Bocconi
Impossibile districarsi tra le autocertificazioni, i blocchi dei pagamenti e i fermi. Una legislazione ancien régime continua a garantire privilegi anacronistici alla pubblica amministrazione

Gli enti pubblici e i cittadini non sono uguali. Il che non accade solo quando le amministrazioni agiscono per realizzare interessi pubblici, se cioè il bene comune giustifica l'esercizio di poteri sui privati. Senza considerare il regime fiscale, le amministrazioni fanno la voce grossa anche nei rapporti di obbligazione.

Poniamo il caso di un ente pubblico che vanti un credito in denaro nei confronti di un privato. Ai sensi dell'art. 21-ter della legge 241/90 potrà applicare la procedura esecutiva prevista per la riscossione delle entrate patrimoniali dello stato (regio decreto 629/10). Ciò significa che invece di ricorrere al giudice avvalendosi del normale processo esecutivo, attiverà un rapido procedimento per la vendita all'incanto dei beni mobili (che vende direttamente) e immobili del cittadino debitore.

Né i privilegi cessano quando le amministrazioni sono debitrici. Cosa che accade molto spesso, posto che in media pagano i fornitori dopo 138 giorni (321 nel caso delle Asl). La media Ue è di 68 giorni.

In primo luogo, inspiegabilmente gli enti pubblici si sentono esenti dal corrispondere, come stabilisce il decreto legislativo 231/02, gli interessi moratori che maturano a 30 giorni dalla fattura.

In secondo luogo, le p.a. non rispondono dell'inadempimento secondo l'art. 2740 del Codice civile, ossia con tutti i loro beni presenti e futuri. Tassativamente esclusi i beni immobili e mobili del demanio e del patrimonio indisponibile: il che è ragionevole, perché non si può pretendere la vendita all'incanto, ad esempio, di aeroporti, musei o attrezzature ospedaliere. Non è invece giustificabile che norme e sentenze vietino e limitino l'esecuzione forzata sul denaro degli enti debitori. Non basta obiettare che questi impedimenti evitano il blocco delle amministrazioni e ne garantiscono il buon andamento: a causa dei ritardi nei pagamenti delle fatture, una pmi su quattro è a rischio chiusura e molti fornitori falliscono.

Brutte notizie anche sul fronte delle compensazioni. La regola è che solo lo stato può compensare i propri crediti e debiti, mentre i cittadini non possono farlo. Il principio dell'integrità del bilancio richiede che le entrate siano acquisite per il loro ammontare complessivo.

Ma le sorprese non finiscono mai. Al ritorno dalle ultime vacanze estive, i fornitori delle amministrazioni sono stati travolti dal "blocco dei pagamenti", che ad agosto la Ragioneria dello stato ha dichiarato applicabile anche senza il regolamento governativo prescritto dal decreto-legge 262/06. Il cui art. 9 prevede che, prima di pagare importi superiori a 10mila euro, gli enti pubblici devono chiedere ai beneficiari di autodichiarare di non essere titolari di cartelle di pagamento inevase per somme pari o superiori a 10mila euro. In caso contrario, le fatture non sono liquidate e la morosità deve essere segnalata al competente agente della riscossione, per l'avvio della procedura del pignoramento presso terzi.

Un istituto criticabile, posto che fa passare il professionista/impresa dalla condizione di creditore in un rapporto di obbligazione a quella di evasore in un rapporto tributario. In più, ha creato mille problemi applicativi senza servire a nulla: infatti, le amministrazioni hanno accumulato montagne di autocertificazioni che non controllavano, perché in mancanza del regolamento del ministro dell'economia non potevano confrontarsi con il sistema pubblico di riscossione. E così nel collegato alla Finanziaria 2008 (decreto-legge 159/07) il governo è corso ai ripari: in attesa del ricordato regolamento ha sospeso l'applicazione del blocco dei pagamenti. Che forse era meglio abrogare del tutto.

Last but not least il "fermo amministrativo" (previsto dall'art. 69 del regio decreto 2440/23, da non confondere con le "ganasce fiscali"). Un'amministrazione statale che ha una ragione di credito ragionevolmente fondata (ma non debitamente provata) nei confronti di un cittadino può impedirgli di incassare il credito che egli al contempo vanta nei confronti di altra organizzazione statale debitrice. L'ente pubblico creditore può cioè garantirsi senza ricorrere al pignoramento o al sequestro, semplicemente vietando all'ente debitore di pagare il privato, affinché la somma sia incamerata a titolo di compensazione legale.

Un privilegio applicabile anche ai rapporti derivanti da contratti pubblici, retaggio di una legislazione ancien régime che favorisce in modo anacronistico l'amministrazione.