Prima viene il target
Il contenuto informativo e l'utilità del rating dipendono in modo cruciale dalla tempestività delle revisioni, ossia dalla capacità di riflettere in tempi rapidi i nuovi eventi che comportano variazioni del merito di credito di un emittente. L'analisi empirica dell'impatto delle rating action sui prezzi fornisce elementi di valutazione utili in quanto l'esistenza di una correlazione significativa, sebbene più contenuta nel caso di upgrade e in assenza di revisioni frequenti, ne conferma il considerevole valore segnaletico.
La stessa importanza in termini di contenuto informativo può essere attribuita alle raccomandazioni degli analisti, nella forma di emissione dei target price, ossia della stima di prezzo che il titolo raggiungerà in un determinato orizzonte temporale in funzione dei fondamentali dell'impresa e della sua capacità di generare flussi di cassa.
Sia le agenzie di rating sia gli analisti finanziari valutano dunque le società e comunicano le loro opinioni agli investitori in maniera efficace, quanto più aggiornate saranno le informazioni incorporate nei loro giudizi.
Guardando alla frequenza con cui vengono aggiornate le revisioni (per singolo emittente, in un anno si verificano in media 30 aggiornamenti di target price contro 1,5 revisioni di rating), è forse lecito chiedersi se i target price possano prevedere una futura rating action, ossia se esiste una relazione tra una rating action e il comportamento dei target price nel periodo precedente. Oltre alla maggiore frequenza con cui vengono rilasciati i target price, ci sono altre ragioni per crederlo.
Innanzitutto, la subordinazione dell'equity rispetto al debito, e quindi il maggior rischio sotteso dagli azionisti, comporta che la valutazione dell'equity sia più volatile e sensibile in corrispondenza, ad esempio, di un peggioramento nel medio termine dei cash flow operativi. Inoltre, i target price incorporano in sé le stime di earning per share, a loro volta correlate alle rating action, secondo la tesi già sostenuta dalla letteratura con riferimento ad altri mercati. Infine, la convergenza tra i metodi di valutazione adottati dalle società di rating e quelli adottati dagli analisti, sempre più focalizzati sulla valutazione del merito di credito delle società emittenti, induce a riflettere su un possibile legame tra i giudizi.
Da una ricerca condotta da chi scrive e da Stefano Bonini utilizzando un database di più di 400 rating action rilasciate dal 2000 al 2005, per un campione europeo di più di 60 aziende quotate e con rating, emerge che rating action positive (upgrade o variazioni positive di outlook) sono sempre preannunciate, nei quattro mesi precedenti, da consistenti variazioni in aumento dei target price.
Seppur con maggior opacità, lo stesso comportamento è ravvisabile nei target price antecedenti una rating action negativa, suggerendo un maggiore contenuto segnaletico del rating in corrispondenza di declassamenti o variazioni negative di outlook.
I risultati sembrerebbero dunque accreditare la tesi in base alla quale, in talune circostanze, ampie variazioni di target price possono essere segnali di successivi interventi da parte delle agenzie di rating.
La presenza di una relazione tra il comportamento dei target price e le rating action delle agenzie, oltre a riconoscere ai target price un valore predittivo finora ignorato, induce ad una ulteriore riflessione con riferimento ai minori requisiti di divulgazione richiesti alle agenzie di rating rispetto a quelle richieste agli analisti.
Nonostante il giudizio di rating sia un'"opinione" indipendente e non un consiglio di investimento, sia il rilascio dei target price sia la revisione di un giudizio di rating costituiscono due eventi price-sensitive per il mercato. Alla luce di ciò, è corretto chiedersi se tale sistema sia equo o se, viceversa, possa essere necessaria una formale armonizzazione della trasparenza informativa che sottende tali opinioni, naturalmente a vantaggio dell'investitore.