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Piegare l'asse del male senza spezzarlo. Con la curva J

, di Fabio Todesco
Le sanzioni sono controproducenti perché i dittatori vogliono l’isolamento. L’Occidente può garantire una transizione stabile solo promuovendo l’apertura, spiega l’esperto di political risk management Ian Bremmer

Ian Bremmer
La curva J
La bussola per capire la politica internazionale

Università Bocconi editore, 2008
360 pagine, 30 euro

Il collasso di regimi autoritari dotati di armi atomiche, come Pakistan, Cina e Russia, o bene avviati sulla stessa strada, come Corea del Nord e Iran, sarebbe una minaccia per tutti, in un mondo interconnesso e percorso da terroristi internazionali come il nostro. Il caos in paesi autoritari, ma dotati delle risorse naturali indispensabili a far funzionare l'economia, come l'Arabia Saudita, rischierebbe di precipitare l'intero pianeta nella recessione.

È per questo, scrive l'esperto di political risk management Ian Bremmer nel suo La curva J. La bussola per capire la politica internazionale (Università Bocconi editore, 2008, 360 pagine, 30 euro), che l'Occidente deve fare di tutto per garantire, a questi, come a molti altri paesi, una transizione ordinata da una stabilità basata sulla chiusura e l'autoritarismo a una stabilità basata sull'apertura all'esterno e la libertà politica.

Bremmer costruisce un formidabile e semplice strumento di valutazione del rischio politico posto da un paese chiarendo che c'è una relazione controintuitiva tra la stabilità di una nazione e la sua apertura, sia esterna che interna. Se, da una parte, le nazioni più aperte, come le democrazie occidentali, sono anche le più stabili, dall'altra risultano piuttosto stabili anche le nazioni più chiuse alle influenze esterne e al dibattito interno. La stabilità dei regimi autoritari è solitamente incentrata su una personalità (da Castro a Kim Jong-Il), quella delle nazioni aperte si basa sulle istituzioni. Perché una nazione "stabile perché chiusa", tuttavia, diventi una nazione "stabile perché aperta", essa deve attraversare un periodo di transizione contraddistinto da una forte instabilità.

Ne risulta la curva J del titolo in cui, andando da sinistra a destra, aumenta l'apertura, mentre dal basso all'alto aumenta la stabilità. Ne risultano anche importanti suggerimenti di politica estera per l'Occidente e, in particolare, per gli Stati Uniti. I dittatori di ogni parte del mondo fondano il proprio potere sulla chiusura e, perciò, è normalmente inefficace, e anzi controproducente, ogni politica di embargo o di sanzioni. Impedire a una nazione di entrare nel Wto o isolarla, come è stato fatto con l'Iraq di Saddam, significa impedire il contatto con persone, idee e beni che potrebbero innescare un processo di rivendicazione inviso a ogni dittatore. Significa, in definitiva, rafforzare il potere dei tiranni.

Le politiche più efficaci sono quelle che facilitano l'apertura (dall'accesso al Wto al finanziamento di formazioni politiche e media critici) e la consapevolezza dei cittadini, con una forte attenzione agli elementi di contesto. Perché un paese non aumenta o diminuisce la propria stabilità solo muovendosi lungo la curva J, ma anche a seguito dell'innalzamento o dell'abbassamento dell'intera curva: un'economia florida aumenta la stabilità di un paese indipendentemente dalla sua posizione sulla curva, mentre i tempi di recessione sono comunque critici.

Bremmer illustra le sue idee ripercorrendo la storia e l'attualità dei paesi al centro delle maggiori preoccupazioni geostrategiche. Corea del Nord, Cuba e l'Iraq di Saddam sono gli esempi del funzionamento di nazioni arroccate all'estrema sinistra della curva J; Iran, Arabia Saudita e Russia si avvicinano un po' alla depressione della curva, contraddistinta dall'instabilità, in una posizione speculare a quella di Turchia, Israele e India, che sono relativamente vicine alla depressione ma da destra, ovvero da una posizione di apertura. Il Sud Africa è un esempio di transizione di successo (ma tutt'altro che irreversibile) dalla parte sinistra alla parte destra della curva, mentre l'Unione Sovietica e soprattutto la Jugoslavia epitomizzano i rischi di una transizione fallita. Al maggiore punto interrogativo dello scacchiere internazionale, la Cina, e agli sforzi della sua élite di traghettare il paese dalla chiusura all'apertura senza precipitare nel caos è dedicato un intero capitolo.

Ian Bremmer è il presidente di Eurasia Group, un'organizzazione specializzata nella consulenza di political risk management.

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SCHEDA. Università Bocconi editore