Contatti

Liste nere e diritti umani

, di Paola Mariani - professoressa associata presso il Dipartimento di studi giuridici
Nelle black list del Consiglio di sicurezza dell'Onu finisce chi è solo sospettato di finanziare il terrorismo. Una misura che lascia aperti diversi interrogativi

Dopo gli attentati alle Torri Gemelle di New York, fu percepito dalla comunità internazionale che il terrorismo globale di matrice islamica poteva essere contrastato solo affiancando ai tradizionali strumenti, rivolti agli stati, interventi diretti nei confronti degli individui. La cooperazione internazionale si è sviluppata su due fronti: prevenzione e repressione. Tra le misure preventive si annoverano le black list predisposte dal Consiglio di sicurezza dell'Onu: si tratta di elenchi di persone fisiche o giuridiche sospettate di finanziare il terrorismo. Gli stati membri dell'Onu sono giuridicamente vincolati alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza e sono tenuti a predisporre misure per il congelamento dei beni delle persone fisiche o giuridiche sottoposte alla loro giurisdizione il cui nome compaia nelle liste, al fine di interrompere i flussi finanziari. Nell'Unione europea, tra le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e i singoli stati si frappone la Comunità europea, che mediante un meccanismo legislativo alquanto originale e complesso emana regolamenti i quali traspongono in ambito comunitario le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. Gli organi giurisdizionali comunitari, il Tribunale di primo grado e la Corte di giustizia, sono stati a più riprese aditi da persone inserite in queste liste le quali, invocando la loro estraneità al terrorismo, hanno chiesto l'annullamento dei regolamenti adottati, a loro dire, senza il rispetto dei principi fondamentali sui quali l'ordinamento comunitario e gli ordinamenti nazionali si fondano.

Le liste sono compilate dal Comitato sanzioni del Consiglio di sicurezza sulla base di informazioni ricevute dai servizi di intelligence dei vari stati membri. Le persone inserite sono sospettate di finanziare attività terroristiche e, sulla base di tale sospetto, private dell'esercizio pieno del diritto di proprietà. L'adozione della misura non è preceduta da alcun contraddittorio (che potrebbe vanificarne gli effetti) e non esiste la possibilità per il singolo di adire direttamente il Consiglio di sicurezza per chiedere una revisione della decisione di inserimento nelle liste. È prevista una procedura di delisting, ma può essere attivata solo da uno stato membro e successivamente all'attuazione sul piano nazionale della misura. I ricorrenti hanno invocato avanti i giudici europei il diritto, riconosciuto a livello comunitario, di impugnare un atto che produca effetti diretti nei loro confronti e pregiudichi le loro posizioni soggettive. Nelle sue prime decisioni, il Tribunale di primo grado aveva attribuito ai regolamenti impugnati un carattere speciale, tale da renderli immuni al controllo di legittimità, a ragione della superiorità della fonte internazionale e dell'assenza di gross violation dei diritti umani. In secondo grado, la Corte di giustizia (caso Kadi, C-402/05) ha al contrario affermato che anche i regolamenti che attuano le risoluzioni del Consiglio di sicurezza possono essere impugnati e devono rispettare i diritti dell'uomo. La decisione della Corte di giustizia ha un importante valore sistemico perché afferma l'autonomia dell'ordinamento comunitario e ribadisce l'elevato standard di tutela dei diritti umani nell'Unione europea. Ma lascia una domanda senza risposta: cosa ne sarà delle black list e degli strumenti internazionali preventivi in Europa?