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Il tramonto del Sol Levante è ancora lontano

, di Carlo Altomonte - professore di politica economica europea
Estremo Oriente. Dopo le riforme del premier Koizumi il Giappone ha vissuto anni di crescita

Andate in libreria, nella sezione di economia e politica internazionale, e contate quanti libri dedicati a Cina e India riuscite a identificare al primo sguardo. Dieci, quindici? Adesso fate lo stesso concentrandovi sul Giappone e... probabilmente state ancora cercando.

Eppure il paese del Sol Levante è ancora oggi (dati di fine 2008) il primo mercato asiatico per dimensione e la seconda economia del mondo dietro gli Stati Uniti, il secondo esportatore del continente (con 776 miliardi dollari è il quarto esportatore mondiale dietro Germania, Cina e Usa), e la più importante economia dell'Asia quanto a volumi d'investimenti diretti esteri, presenti specialmente in Cina e Stati Uniti, per un totale di circa 600 miliardi di dollari. Perché dunque questo calo di attenzione nei confronti del Giappone, nonostante la sua importanza, confermata dai numeri, a fronte del grande interesse per Cina e India? La risposta sta in un retaggio ancestrale dell'essere umano: la nostra attenzione tende a focalizzare molto meglio ciò che si muove rispetto a ciò che risulta statico. E il Giappone statico lo è ormai da tempo, se non altro nell'immaginario collettivo che guarda al vicino di casa cinese. Certo, non è sempre stato così. Per tutti gli anni Ottanta il Giappone ha giocato nell'opinione pubblica europea il ruolo che oggi è della Cina. Erano gli anni in cui si parlava della "Fortezza Europa", il mercato interno continentale che avrebbe dovuto difenderci dall'invasione dei prodotti giapponesi, mentre il modello organizzativo nipponico della just in time production e del kaizen, volto al continuo miglioramento qualitativo ed esemplificato nel successo della Toyota, iniziava a essere conosciuto e imitato in tutte le aziende del mondo. Ma tale modello entra in crisi all'inizio degli anni Novanta, per ragioni paragonabili a quelle che hanno portato oggi l'economia mondiale alle soglie del collasso finanziario: lo scoppio di una bolla speculativa del mercato immobiliare fa emergere gravi perdite nei bilanci delle banche giapponesi, legate a doppio filo alle grandi imprese industriali. Questo causa una repentina contrazione del credito, un crollo delle attività industriali e di borsa e una profonda recessione aggravata da una spirale deflazionistica, che peggiora ulteriormente la solvibilità del sistema finanziario. Risposte di politica economica non corrette (l'uso improprio della leva fiscale, a fronte di politiche monetarie non espansive) contribuiscono a infliggere al Giappone quasi dieci anni di crescita economica vicina allo zero. Fu solo con le riforme del premier Koizumi del 2001, rompendo molti tradizionali tabù che paralizzavano l'azione del governo (privatizzazione del sistema postale e del risparmio da questi veicolato, con contestuale riorganizzazione del sistema bancario, politiche monetarie espansive di quantitative easing sostenute dalla svalutazione del tasso di cambio) che il paese riuscì a riprendere la strada della crescita economica.Crescita che, nell'indifferenza dell'opinione pubblica ormai attratta dal fenomeno Cina, è in realtà durata ininterrotta sino alla crisi globale del 2008, con la più lunga fase espansiva sperimentata dal Giappone dal secondo dopoguerra. Dove è dunque oggi, al netto della percezione generale, l'economia nipponica? Come tutti i paesi, il Giappone risente della crisi, e come la Germania e l'Italia, ne risente in maniera particolare data la sua vocazione all'esportazione di beni industriali su scala globale, tanto che le previsioni parlano di un -7% di pil per il 2009. Tuttavia, come per altri paesi, l'economia giapponese inizia a beneficiare della pronta e coordinata azione di politica economica varata dal governo e dalla banca centrale, con un pacchetto di misure di stimolo pari a circa il 5% del pil e tassi d'interesse molto vicini allo zero. Questo ha migliorato il clima di fiducia nel paese, nonostante i salari reali restino ancora troppo bassi per stimolare adeguatamente i consumi, e ha riportato il sereno sugli indici di borsa, in attesa delle elezioni. Le quali potrebbero portare alla sconfitta del partito liberal-democratico, al potere dal dopoguerra, e a una profonda riforma del quadro politico, a tutto vantaggio della ripresa economica.Insomma, il tramonto del Sol Levante è ancora lontano.