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Il tocco umano entra in campagna

, di Stefania Saviolo - docente di management of fashion and luxury companies
Moda. Per evitare che la produzione sia garantita solo da laboratori clandestini

In un momento in cui la crisi ha reso il cliente più selettivo su prezzo e qualità, le aziende italiane della moda possono cogliere una grande opportunità sfruttando valori e competenze che da sempre appartengono loro, ma ai quali è necessario dare oggi nuova voce. Molto del dibattito sulla moda made in Italy in questi tempi ha riguardato la tracciabilità della produzione, tema approdato a una nuova legge. Ma per dare un reale contenuto al made in Italy, è necessario supportare le competenze che vi sono dietro, quel sapere artigiano fatto di gusto e innovazione che ha reso il prodotto italiano unico.

In questo ambito le aziende dell'alto di gamma hanno ruoli e responsabilità diverse rispetto al mass market. Nella moda di massa il cliente cerca la tendenza e il prezzo; dall'alto di gamma si aspetta invece garanzie di qualità, intesa come manualità, creatività, spesso legata a un paese o a un territorio. La celebrazione delle competenze che stanno dietro il prodotto è diventata in questi mesi la nuova strategia di comunicazione dei marchi della moda. "Forever now" è la campagna pubblicitaria che Gucci ha dedicato nel 2010 ai propri artigiani come interpreti dell'eredità di qualità e tradizione dell'azienda. Presso la boutique romana del marchio è stato avviato "Artisan Corner", progetto destinato a girare il mondo, dove si svelano i procedimenti artigianali di borse e accessori sotto gli occhi dei clienti. Gucci ha anche dichiarato di voler continuare la produzione al 100% in Italia investendo negli artigiani che lavorano per l'azienda (solo in Toscana 7.000 persone). In occasione dell'ultima sfilata, Dolce & Gabbana ha presentato il lavoro dell'equipe sartoriale e dei due stilisti sullo sfondo della passerella: mani di sarte esperte mostrano la confezione del capo iconico della griffe, la giacca. Ma ci sono aziende italiane che hanno da sempre messo il prodotto e il tocco umano al centro della loro strategia e comunicazione (e sono aziende che sono riuscite a crescere anche durante la crisi). Brunello Cucinelli e Tods hanno sempre collegato il loro prodotto all'eccellenza del territorio. Cucinelli ha ricevuto nel 2010 il Confindustria Awards for Excellence come impresa campione della valorizzazione del territorio. Da sempre Cucinelli valorizza l'immagine del suo gruppo di lavoro chiamando i suoi dipendenti "le sue 500 anime pensanti". Il marchio Tods gestisce in Italia la più grande fabbrica di scarpe dei paesi occidentali e fa dell'"Italian touch" il cuore della sua filosofia di marca. Anche nella moda più accessibile ci sono aziende che crescono investendo sul made in Italy: il marchio Rinascimento, 90 milioni di fatturato e parte del gruppo Teddy, impiega solo fornitori italiani, con un indotto di quasi 2.000 persone.La crisi degli stregoni della finanza servirà forse a ridare spazio, nella moda, a quei maestri dell'alto artigianato che con le loro creazioni possono rinnovare il miracolo del made in Italy. E questa sarebbe una vera innovazione in un paese dove la fabbrica e il lavoro artigiano sono sempre stati percepiti come marginali. Ma è solo in parte un ritorno al passato: l'artigianato oggi si arricchisce di nuove tecnologie, deve posizionarsi in filiere globali e complesse sviluppando una nuova capacità di interagire con le sue controparti. Fare made in Italy significherà offrire valore a un cliente globale, bilanciando tradizione e innovazione. Con due grandi problemi ancora da risolvere. Anzitutto, vendere questa cultura ai nostri giovani: per attrarli verso questi mestieri c'è bisogno di proposte formative nuove, che garantiscano competenze realmente utili e uno status sociale adeguato. Il secondo problema è il controllo della legalità e correttezza attraverso cui si fa moda made in Italy. Da più parti si denuncia il fatto che la necessità di soddisfare condizioni basate su costi bassi, consegne rapide, alta flessibilità, sta producendo in Italia una tipologia di attività conto-terzi che sopravvive solo mantenendo margini di irregolarità. Il rischio, e il paradosso, è che il vero made in Italy in futuro venga garantito sempre di più da laboratori clandestini.