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I dirigenti al centro della riforma della pubblica amministrazione

, di Raffaella Saporito e Giovanni Valotti - rispettivamente, assitant professor dell'Area public management and policy della SDA Bocconi e ordinario di economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche alla Bocconi
Come cambia la figura del public manager

Il tema della gestione del personale e del management delle p.a. è tornato di grande attualità con la riforma Brunetta che, dopo anni di torpore, ha riattivato il dibattito.

La visione che ispira l'intervento pone al centro dell'innovazione i dirigenti. Già le riforme degli anni Novanta avevano insistito sulla modifica del quadro giuridico-istituzionale della dirigenza attraverso misure diverse: il ridisegno delle funzioni, la modifica del sistema retributivo, l'introduzione del meccanismo degli incarichi, l'enfasi sui processi di valutazione. La riforma Brunetta consolida questo percorso e non rivoluziona l'assetto di fondo della disciplina della dirigenza, ma si concentra piuttosto sul rafforzamento di taluni principi, in parte già presenti nella normativa precedente, come l'enfasi sull'efficienza e la meritocrazia nelle amministrazioni pubbliche, e sull'introduzione di alcuni nuovi strumenti operativi volti a incidere sul miglioramento delle performance pubbliche. In sintesi la riforma della dirigenza si articola lungo due traiettorie: rafforzare l'autonomia dirigenziale dalla politica e rendere più trasparente l'attività dei manager pubblici. Sul primo fronte, gli interventi previsti sono principalmente tre: il contenimento del numero dei dirigenti a contratto, a vantaggio dei dirigenti di ruolo; la reintroduzione del concorso come strumento di progressione dirigenziale; il rafforzamento del mercato interno della dirigenza, attraverso forme di pubblicizzazione dei posti vacanti.Tali misure indicano, però, una certa inversione di tendenza rispetto alla traiettoria di riforma in Italia e all'estero. Negli ultimi decenni, si è registrata una progressiva flessibilizzazione dei sistemi di selezione e nomina dei manager pubblici. La declinazione italiana di tale tendenza ha frequentemente preso la forma di spoils system. La recente riforma segna un'inversione di marcia: sembra, infatti, voler limitare il potere della politica sulle carriere dei dirigenti. Il rafforzamento dello strumento concorsuale va in questa direzione, sebbene irrigidisca i sistemi di selezione dei dirigenti. Come contraltare degli interventi a tutela della dirigenza di carriera, ai manager pubblici viene richiesta una maggiore responsabilizzazione sui risultati nella gestione delle risorse umane e finanziarie. Le novità a riguardo non sono rivoluzionarie, si tratta di misure volte a rendere cogenti principi già presenti nell'ordinamento: si riafferma la responsabilità dirigenziale nella gestione delle risorse umane, si introduce l'obbligo di rendere trasparenti i profili e le performance dei dirigenti, si impone la distribuzione normale forzata delle valutazioni dei dirigenti, si stabilisce al 30% la quota di retribuzione accessoria sul totale, che include anche la retribuzione legata alla performance, si prevede la revocabilità dell'incarico dirigenziale in caso di performance insoddisfacenti. La logica di questo secondo pilastro della riforma sembra voler suggerire che i dirigenti, resi un po' più autonomi dalla politica, sono chiamati a rendere conto in maniera più esplicita e trasparente ai cittadini del loro operato.Nel disegno della riforma non mancano certo le contraddizioni e le zone grigie. Uno di questi è l'utilizzo dei sistemi di valutazione e di premialità a fini prevalentemente sanzionatori, più che di sviluppo organizzativo, come confermato dalla pubblicizzazione sui siti dei risultati: l'esito di tali misure potrebbe, dunque, essere piuttosto controverso.