Effetto serra, 8.000 anni di emissioni umane
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William Ruddiman |
Secondo ogni teoria riconosciuta dalla comunità scientifica, le quantità di metano e anidride carbonica nell'atmosfera, negli ultimi 10.000 anni, sarebbero dovute scendere almeno fino all'inizio dell'età industriale. E, invece, le tracce lasciate in alcune carote di ghiaccio estratte nell'Antartide dimostrano che 5.000 anni fa il metano ha iniziato a crescere senza una ragione apparente.
Comincia con questo esile indizio l'investigazione scientifica del paleoclimatologo William Ruddiman che, in L'aratro, la peste, il petrolio. L'uomo e il clima (Università Bocconi editore, 2007, 260 pagine, 23 euro) mostra come l'uomo, già in età preindustriale, abbia influito sul clima terrestre, determinando una maggiore concentrazione di gas serra (anidride carbonica e metano) e conseguentemente un innalzamento della temperatura.
L'aratro
Il fatto nuovo di 5.000 anni fa, spiega Ruddiman, è stato la messa a coltura risicola di ampie porzioni delle pianure del sud est asiatico. Sotto lo strato d'acqua necessario a coltivare il riso marciscono, e rilasciano metano in quantità coerente con le osservazioni, erbe di vario genere. Dopo avere pubblicato un paper scientifico al riguardo nel 2001, Ruddiman si è chiesto se il fattore umano potesse spiegare altre variazioni nella concentrazione di gas nell'atmosfera e, di conseguenza, nel clima terrestre. L'analisi delle carote mostrava anche un'inattesa inversione nella diminuzione della concentrazione di anidride carbonica, che ha cominciato a innalzarsi 8.000 anni fa. Anche in questo caso, ha mostrato Ruddiman lavorando al confine tra diverse discipline, il fattore determinante è stato l'agricoltura: il disboscamento, spesso accompagnato dall'incendio degli alberi, per fare posto alle colture è sufficiente a spiegare la mancata sintesi, da parte delle piante, di quantità elevatissime di anidride carbonica. A chi obietta che le piccole comunità umane del tempo non avrebbero potuto determinare un effetto così ampio, Ruddiman risponde che già più di 12.000 anni fa la semplice comparsa dell'uomo in America, Australia, Nuova Zelanda e altrove aveva determinato l'estinzione della gran parte delle specie animali prima presenti. "Si pensa che soltanto la società moderna, che impiega tecnologie moderne, commetta un simile oltraggio contro la natura. Ma le cose stanno diversamente", scrive lo scienziato.
La peste
A conferma del ruolo dell'uomo, i periodi in cui, negli ultimi 10.000 anni, l'anidride carbonica è calata corrispondono alle grandi pandemie, con tassi di mortalità che hanno superato il 25% della popolazione (la peste bubbonica del VI secolo), il 40% (quella del 1345-1400) e l'80-90% (i nativi americani dopo la conquista europea). Ruddiman calcola che, da 8.000 a 200 anni fa, l'uomo abbia determinato un aumento della temperatura media di 0,8°C, sufficiente a evitare che la Terra entrasse in una nuova epoca glaciale che, oggi, avrebbe già determinato la copertura del Canada nordorientale.
Il petrolio
Nell'era industriale, in soli 200 anni, l'uomo ha determinato un innalzamento dei livelli di metano pari a 4 volte quelli degli 8.000 anni precedenti e dell'anidride carbonica di due volte e mezzo. L'aumento della temperatura è stato, però, di soli 0,6°C, a causa del ritardo con cui il clima reagisce all'incremento dei gas serra. Il 50% dell'effetto dei gas già immessi nell'atmosfera, secondo questi calcoli, si espliciterà nei prossimi 50 anni. E poi?
Ruddiman non crede che l'uomo rinuncerà a esaurire le riserve di petrolio, gas naturale e carbone. La temperatura è, così, destinata a salire ancora per qualche secolo, con conseguenze serie, ma probabilmente non catastrofiche come temono i più pessimisti. Anche perché in tempi molto più brevi, sostiene Ruddiman, l'uomo si troverà a fare fronte ad altre gravi conseguenze delle sue attività, come la carenza d'acqua e l'impoverimento dei suoli.