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In borsa senza sentirsi diversi dagli altri

, di Denny De Angelis e Barbara Lunghi - rispettivamente, assistant professor di strategia e imprenditorialita' alla SDA Bocconi e Head of Mid&Small Cap Markets, Borsa Italiana, London Stock Exchange Group
Già oggi la presenza delle aziende familiari è estesa: il 40% della capitalizzazione

I comprensibili timori e le diffidenze scaturite dalla recente crisi finanziaria, nonché le sue ripercussioni economiche e finanziarie, hanno contribuito ad allontanare ulteriormente dai mercati finanziari il pubblico risparmio, gli investitori istituzionali e le aziende, andando dunque ad acuire un fenomeno che caratterizzava l'Italia, più di altri paesi, ancor prima della crisi. A fine 2010, infatti, il peso della capitalizzazione di Borsa sul Pil era pari al 27%, contro il 43% della Germania, il 73% della Francia, l'82% della Spagna e il 133% del Regno Unito.

La scarsa propensione delle imprese italiane alla quotazione in borsa viene solitamente spiegata attraverso diversi fattori peculiari del contesto italiano tra i quali l'esistenza di una normativa fiscale che, attraverso il meccanismo delle deducibilità degli oneri finanziari, ha incentivato l'utilizzo del debito a discapito del capitale di rischio, e la percezione di un'eccessiva onerosità del processo di quotazione. Tale percezione è spiegata però dalla mancata distinzione tra i costi strettamente da esso derivanti (quali ad esempio i costi di collocamento e di predisposizione della documentazione necessaria) e quelli che sono invece costi che sono sostenuti da molte aziende, a prescindere dalla quotazione, al fine di raggiungere superiori livelli di trasparenza, miglioramenti della struttura organizzativa, per presentarsi in modo adeguato agli investitori internazionali o per accelerare la propria crescita mantenendo un presidio efficace sui rischi aziendali. In molti casi anche la significativa presenza di imprese a controllo familiare viene citata tra i fattori che parrebbero avere un'influenza negativa sul numero di imprese italiane che optano per la quotazione e ciò in coerenza con l'ipotesi che le prime si caratterizzino per una minore propensione alla realizzazione di operazioni che implichino l'ingresso di terzi nel capitale sociale, dovuta alle conseguenze che ciò può comportare sull'assetto di controllo dell'impresa, sul rapporto famiglia-impresa e sul tipico processo di trasferimento del governo dell'impresa su base generazionale.Benché i dati dell'Osservatorio AUB (AIdAF-Unicredit–Bocconi) - che monitora performance e assetti proprietari e di governo di tutte le aziende familiari italiane con fatturato superiore ai 50 milioni di euro - mettano in luce come tra queste le quotate siano solo 102 (ovvero il 4%), essi consentono di apprezzare come queste rappresentino ben il 26% del fatturato realizzato nel 2009 dalla totalità delle aziende familiari italiane monitorate dall'Osservatorio AUB e presentino nel complesso una capitalizzazione di borsa che è pari a circa il 40% della capitalizzazione totale dei mercati di Borsa Italiana (escludendo banche, assicurazioni, società municipalizzate e le principali utilities), evidenziando così come il listino della Borsa di Milano sia già oggi in buona parte costituito da aziende familiari che nella quotazione hanno individuato uno strumento per sostenere i propri percorsi di crescita, di internazionalizzazione e di innovazione. Se poi si tiene in considerazione che il profilo tipo dell'azienda familiare quotata che emerge dai dati dell'Osservatorio AUB è quello di un'azienda di fatturato pari a circa 270 milioni di euro (contro gli 87 milioni delle aziende familiari non quotate), un livello di indebitamento sostenibile (il rapporto di indebitamento delle quotate è di 3,1 contro il 6,8 delle non quotate) e una compagine sociale nella quale la famiglia di riferimento possiede una quota del capitale spesso compresa tra il 50 e il 75%, ben si comprende come la quotazione rappresenti un'opzione non necessariamente così traumatica per gli equilibri che caratterizzano il sistema famiglia-impresa e come sia dunque ragionevole attendersi, per il futuro, una crescita del numero di famiglie imprenditoriali italiane interessate a valutare la quotazione in borsa quale soluzione per rendere sostenibili ambiziosi percorsi di crescita, ormai difficilmente gestibili attraverso il solo utilizzo della leva finanziaria.