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La stretta negata

, di Davide Ripamonti
Rifiutarsi di stringere la mano a un mafioso è il modo per non riconoscere il suo ruolo ed eroderne il potere. Lo ha detto il procuratore Giuseppe Pignatone in un convegno in Bocconi. Presenti anche i colleghi Ilda Boccassini e Michele Prestipino

"Se il problema fosse 'militare', lo Stato avrebbe trionfato da tempo. Ma la mafia e la 'ndrangheta sono organizzazioni molto complesse, che si reggono sulle relazioni e il consenso sociale, sul fattore reputazionale. Non stringere la mano a un sospetto mafioso è un gesto simbolico ma di alto valore, che va a lederne la reputazione". Lo ha detto ieri Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica di Roma, intervenuto a un convegno all'Università Bocconi per la presentazione del volume Il Contagio. Come la 'ndrangheta ha infettato l'Italia (Laterza), scritto con il collega Michele Prestipino (procuratore a Reggio Calabria) e curato dal giornalista Gaetano Savatteri. Presenti, oltre agli stessi Prestipino e Savatteri, Ilda Boccassini, procuratore presso il Tribunale di Milano, e Michele Polo, Eni Chair in Energy Markets e prorettore all'Organizzazione della Bocconi.

"I mafiosi e quanti sono collusi con loro vanno isolati, si devono rompere i contatti con il resto della società", ha ribadito Pignatone. Società che non è, come a volte si tende a banalizzare, divisa tra mafiosi, da una parte, e gente per bene, dall'altra. In mezzo c'è la cosiddetta zona grigia: "La paura non è l'unico motivo per sottostare alla mafia", ha continuato il magistrato, "molto spesso è la convenienza, immediata e a lungo termine, che spinge politici, imprenditori ma anche ogni altra 'categoria' della società a chiedere favori al boss locale". E ad accrescerne, in questo modo, il prestigio e l'autorità.

Mafia e 'ndrangheta sono organizzazioni con una storia secolare alle spalle e molto organizzate. La 'ndrangheta, in particolare, si struttura in famiglie (denominate 'Locali') disseminate soprattutto in Calabria e in Lombardia, come ha spiegato Ilda Boccassini che insieme ai colleghi ha condotto l'operazione Crimine contro la 'ndrangheta, "ognuna delle quali controlla un ramo d'affari o un territorio, per poi convergere in un organismo unitario superiore che si occupa degli affari importanti. Va colta in special modo questa unitarietà, se si parcellizza il fenomeno si rischia di sminuirlo". Per combattere contro strutture così complesse le procure devono lavorare insieme in maniera coordinata, "e senza gelosie, come abbiamo saputo fare noi. Ma quello che soprattutto deve fare un magistrato", ha continuato Boccassini, "è andare in aula con prove certe, anche a costo di dover aspettare. Altrimenti si rischia di andare incontro a una sconfitta, che è soprattutto la sconfitta dello Stato".

Sul sistema delle relazioni dei boss è intervenuto anche Michele Prestipino, e lo ha fatto partendo da un caso illustre: "Lo stesso Bernardo Provenzano, attraverso i famosi 'pizzini', è stato capace di creare un sistema di relazioni tale da riuscire a penetrare nei settori via via emergenti dell'economia, dall'edilizia agli appalti pubblici fino alla sanità, che significava decine di miliardi di euro l'anno. Ma i boss dedicano il loro tempo anche ad affari di poco conto, che però risultano determinanti per accumulare crediti sociali che potranno in futuro riscuotere anche da parte di insospettabili. In questa ottica, stringere o meno la mano significa scegliere da che parte stare".