Federico e lo sci, meglio se estremo
Salire con piccozze e ramponi su pareti ghiacciate, montagne dai 6 mila metri in su che evocano ricordi di grandi imprese. Poi, una volta in cima, si inforcano gli sci e si scende, guardandosi dai crepacci e dalle valanghe. Per molti sono dei supermen, per altri temerari a caccia di emozioni forti. Federico Colli, 34enne milanese, è tra questi ed è appena tornato da una spedizione con il compagno di sempre, Edmond Joyeusaz, sul Lhotse, la mitica montagna gemella dell'Everest che con i suoi 8.516 metri è la quarta del pianeta.
Federico è un bocconiano purosangue e, nello stesso tempo,... atipico. I due nonni, entrambi i genitori, un fratello tutti laureati all'ateneo di via Sarfatti, per lui, terminato il liceo classico, la scelta è stata naturale. Si è iscritto a economia aziendale e poi è approdato al Cleacc, che allora muoveva i primi passi, per assecondare la sua indole creativa, laureandosi nel 2003. E, parallelamente agli studi, Federico portava avanti quella che era ed è tuttora la sua grande passione e nello stesso tempo la sua professione, lo sci:
"Sono maestro di sci dal 1998, allenatore federale di terzo livello, il più alto in Italia, e preparatore atletico", spiega, "e per passione pratico lo sci estremo, che si distingue dallo sci ripido perché si effettua su pendenze superiori al 50%". Durante l'università la vita per Federico era un avanti-indietro tra il capoluogo lombardo e Champolouc, dove in inverno dava lezioni. "Per fortuna una mia grande capacità è sempre stata quella di sapermi organizzare, per cui facevo il maestro senza trascurare gli studi, e così sono riuscito a laurearmi senza ritardi". Con la laurea in tasca qualche tentativo in azienda Federico Colli l'ha fatto: alcuni mesi in Vodafone, poi l'Oreal, Ernst & Young, Marketing Point, senza mai staccare completamente dallo sci fino a quando, nel 2007, ricevuta un'offerta dallo Sci Club Courmayeur, uno dei più prestigiosi, Federico ha deciso. "Non vedevo, in azienda, il mio futuro. Niente che ne valesse la pena. Ho raccolto armi e bagagli e sono andato in Valle d'Aosta".
Forse anche chiudersi tra le quattro mura di un ufficio non era, per lui, particolarmente allettante. Qui, ai piedi del Monte Rosa, ha trovato la sua dimensione. "Alleno 12 mesi all'anno, attualmente mi occupo dei ragazzi del 2002-2003 per quanto riguarda le discipline tecniche, slalom e gigante. Magari tra loro ci sarà un'altra Federica Brignone, di cui ho seguito la preparazione atletica". In inverno sulle piste, d'estate sui ghiacciai perché gli allenamenti, a un certo livello, non possono mai interrompersi del tutto, Federico fa però la spola con Milano, perché alcuni suoi allievi risiedono nel capoluogo lombardo e lui ne cura la preparazione atletica al campo XXV Aprile. Ma ogni tanto parte, alla ricerca dell'impresa. "Lo sci estremo si pratica su terreni vergini, in ambienti ostili. L'obiettivo principale è essere i primi a tracciare una determinata via, fare quello che nessuno finora ha fatto. Sono stato in Nepal, sul Mera Pik, sono disceso anche in luoghi più vicini a noi ma altrettanto difficili, come lo sperone della Bremva e la parete nord del Liskamm, nelle Alpi, discese superiori ai 55 gradi".Sul Lhotse non è andata come Federico e Edmond speravano. Sono rimasti un mese al campo base in attesa che il tempo consentisse la scalata, poi hanno desistito. "Le condizioni atmosferiche erano proibitive, il rischio troppo alto per le continue valanghe. Sulla strada del ritorno, però, ho deciso di percorrere con gli sci l'Ice Fall, una zona ricca di crepacci tra l'Everest e il Lhotse, a 6 mila metri, impresa che prima di me solo lo sloveno Davo Karnicar ha realizzato". A fine dicembre sarà pronto il documentario che Carlo Limonta, che ha seguito Federico e Edmond fino al campo base, ha realizzato. "Tenteremo di venderlo a qualche tv. Poi penseremo alla prossima impresa, magari in Sudamerica dove ci sono montagne interessantissime, alcuni 6 mila metri di grande difficoltà. L'unico problema, in questo caso, sarà trovare gli sponsor, che sono invece molto munifici quando sentono il nome Himalaya, con il fascino dei suoi 8 mila". La voglia di andare sempre 'oltre' è quella che spinge chi come Federico rischia la vita in luoghi estremi. Ma non è l'unica emozione: "La sensazione più bella, in certi momenti, è il controllo totale delle proprie emozioni, quella concentrazione profonda che ti permette di gestire la paura, il panico. E' lì che ti senti veramente in armonia con te stesso".