Così l'impresa si fa sociale
In Italia, sotto la definizione non profit, confluiscono oltre 200 mila realtà differenti (per dimensioni e finalità) che spaziano dalle associazioni alle Pro loco, dalle fondazioni alle organizzazioni non governative e dalle comunità alle cooperative sociali (che si definiscono di tipo A se almeno il 30% dei loro soci sono volontari, o di tipo B se la stessa quota societaria è rappresentata da persone appartenenti alle cosiddette categorie svantaggiate). Diversi (e sempre più numerosi) sono anche gli ambiti del loro intervento: il turismo, l’istruzione, i servizi, la tutela dei diritti, l’entertainment e la cultura, la sanità e il cosiddetto housing sociale, solo per citarne alcuni.
Come fare, allora, per provare a darne una definizione? “Ciò che accomuna questo mare apparentemente indistinto di realtà”, spiega Giorgio Fiorentini, direttore del Master in Management delle aziende cooperative e imprese sociali non profit della Bocconi, “è la prevalente funzione sociale del loro operato, l’alta democraticità interna e, soprattutto, il non scopo di lucro”. Nel senso che l’utile netto prodotto dalle loro attività non viene spartito tra i soci, ma reinvestito nella sua struttura e nel miglioramento della sua competitività, una volta raggiunto l’obiettivo economico-finanziario prefissato.
“Infatti”, continua Fiorentini, “la legge 118 del giugno 2005 introduce la definizione di impresa sociale per tutte quelle non profit che svolgono attività commerciale, ma io credo che abbia senso definirle tutte in questa maniera. E non per una deviazione culturale da incallito economista, ma perché l’esperienza ci insegna che se queste realtà non si consolidano da un punto di vista gestionale e amministrativo, sono destinate a soccombere, sacrificando anche i loro fini”. Da qui, appunto, la necessità di dare vita a una nuova classe di manager con una formazione specifica, in grado cioè di “unire il valore ai valori”, enfatizzando sì gli aspetti legati alla mutualità e alla fiducia, ma anche pianificando un marketing adeguato e un efficiente fundrasing che coinvolga sia il pubblico sia il privato.
Oggi, infatti, le imprese sociali muovono un giro d’affari intorno ai 33 miliardi di euro l’anno, coinvolgendo circa 6milioni di soci e 600mila dipendenti, così da proporsi come un interlocutore fondamentale sia per le imprese pubbliche sia per quelle private.