Contatti

Calcio: chi più guadagna più rende

, di Fabio Todesco
Ma anche i meno pagati ottengono ottime performance, mentre non brilla chi ha ingaggi medi, sostengono Andrea Montanari e Giacomo Silvestri in un paper

Il livello degli stipendi dei calciatori di Serie A non sarà etico, ma la loro distribuzione risponde, se non altro, a criteri di equità. La retribuzione è, infatti, davvero influenzata dalla performance passata dei calciatori, dalla loro esperienza in termini di stagioni passate in Serie A e dai risultati delle squadre in cui hanno militato. Se, poi, non esiste un legame ferreo tra retribuzione e risultati futuri, si può però affermare che le performance migliori sono quelle ottenute dai calciatori più pagati e da quelli meno pagati di ogni squadra, con risultati meno buoni per gli ingaggi medi.

Arrivano a queste conclusioni Fabrizio Montanari, professore a contratto alla Bocconi, e Giacomo Silvestri di Boston consulting group in due paper pubblicati nel volume Il management del calcio (edito da Franco Angeli e curato dai due autori insieme a Francesco Bof della Sda Bocconi) e dalla Rivista di diritto ed economia dello sport.

In Gli stipendi della Serie A: quale rapporto tra retribuzione e prestazione, i due studiosi analizzano i profili di 326 calciatori per due stagioni e si rendono conto che, ad avere un riflesso sulla performance individuale, non è tanto il livello assoluto della retribuzione, ma l'equilibrio che si costruisce tra le retribuzioni dei diversi calciatori. "I giocatori con le migliori performance risultano essere quelli con più motivazioni economiche", afferma Montanari, "ovvero quelli che guadagnano di più, le superstar e quelli che guadagnano relativamente di meno, ansiosi di scalare posizioni nella classifica delle retribuzioni".

I risultati della ricerca suggeriscono alle società di adottare una politica retributiva esplicita, scegliendo tra il modello gerarchico, che motiva le persone attraverso marcate differenze di retribuzione e quello compresso, che motiva alla cooperazione attraverso retribuzioni simili. Le squadre che hanno fatto una chiara scelta tra i due modelli ottengono risultati migliori di quelle che si pongono nel mezzo, affidando le contrattazioni un po' al caso e un po' all'abilità dei procuratori.

"Le società devono, inoltre, comunicare chiaramente ai giocatori quale sia la loro politica retributiva", aggiunge Montanari, "perché i calciatori accettano le disparità quando sono in qualche modo giustificate e quando le superstar si assumono le responsabilità che i loro stipendi comportano. L'accettazione dei 6,5 milioni di euro di Ronaldinho dipenderà moltissimo dal suo comportamento in campo e nello spogliatoio".

Nel paper Le determinanti della retribuzione tra risultati e caratteristiche individuali: il caso del campionato di calcio di Serie A, Montanari e Silvestri raccolgono i dati di 267 calciatori per due stagioni e osservano che l'esperienza (in termini di stagioni di Serie A), la reputazione (in termini di livello delle squadre in cui il giocatore ha militato e di convocazione in Nazionale), la performance individuale e quella di squadra sono le determinanti chiave della retribuzione. Cambiare squadra non porta, in media, nessun vantaggio retributivo, mentre lo status della squadra con cui si firma il contratto è decisivo nella determinazione del livello assoluto dell'ingaggio. "A confortarci sulla natura di squadra del calcio", afferma Montanari, "è, in questo caso, l'importanza dei risultati di squadra nella determinazione della retribuzione individuale".

Una curiosità: il numero di stagioni passate in Serie A (l'esperienza) è una variabile importante per la determinazione della retribuzione, ma non è legata positivamente alla performance.