Alfonso Gambardella: flautista, calciatore e paladino dell'innovazione
Da ragazzo, Alfonso Gambardella suonava il flauto al Conservatorio, studiava e giocava a calcio in Seconda categoria. "Se avessi dovuto scegliere che cosa fare, a 15 anni avrei messo il calcio al primo posto, il flauto al secondo, lo studio al terzo. A 20 il flauto era diventato più importante del calcio. Ma evidentemente", aggiunge sorridendo, "non ero così bravo né a suonare, né a giocare al pallone e quindi ho dovuto fare l'università". Scelse economia perché gli sembrava un modo rigoroso di fare politica. "Quell'idea mi ha portato a cercare di capire come creare una società migliore e quindi a studiare l'innovazione economica come motore della crescita".
È stato l'economista Nathan Rosenberg, a Stanford dove Gambardella si trovava per il dottorato, a fargli comprendere che i mercati creano efficienza non solo tramite la concorrenza, ma anche attraverso la divisione del lavoro. "Partendo dall'esempio dell'industria farmaceutica, mi sono accorto che la produzione di innovazione non si realizza solo nelle divisioni R&D interne alle imprese, ma anche attraverso il mercato. Mi sono quindi concentrato sulle imprese specializzate nella produzione e nella vendita di innovazioni tecnologiche. Oggi, nell'era dell'elettronica e delle biotecnologie, è un fenomeno molto importante".
Dopo avere insegnato a Urbino e Pisa, dal 2004 Gambardella è in Bocconi dove ricopre la carica di direttore del Dipartimento di management e tecnologia, "una posizione che mi permette di contribuire al progetto di crescita della Bocconi, che credo sia unico nel nostro paese. Apprezzo la libertà di pensiero e la possibilità di far parte di una comunità di persone che condividono gli stessi valori e credono fermamente nel fatto che la sintesi di opinioni e valutazioni porti alla crescita". Al padre deve l'intuizione di fare il dottorato, ai famigliari dedica una sezione della sua pagina Internet, dalla nonna materna pittrice a un trisavolo che brevettò un tipo di cassaforte. Forse la passione per l'innovazione era nel dna, più del calcio e della musica.